La maglia verde numero 10 ha un nome, uno solo, quello del mediano di apertura del Leinster classe 1985, fresco di rinnovo contrattuale che lo legherà alla IRFU fino al 2023: Jonathan Sexton.
Il messaggio è chiaro, Sexton sta bene di testa e di fisico e punta diritto alla Coppa del Mondo, l’unica competizione dove non ha mai lasciato veramente il segno.
Non potrebbe essere altrimenti per un giocatore che dal giorno in cui ha messo piede in nazionale ha dovuto fare di tutto per mantenere la titolarità del suo ruolo.
La n.10 d’Irlanda a conti fatti non è una maglia qualsiasi.
In Irlanda infatti il rugby è un gioco programmato, studiato e ottimizzato per essere vincente senza sprecare neanche una goccia di talento. 4 franchigie e una filosofia gestionale che mette al centro della proposta tecnica la competizione interna fra giocatori, unico requisito necessario per offrire il top di gamma al capo allenatore dei verdi.
In questo contesto nascono dualismi che sono il pane quotidiano del rugby irlandese.
A proposito dello spot di apertura, Sexton rappresenta un fulgido esempio di leadership plasmato sulla rivalità. In 22 anni di Sei Nazioni l’Irlanda ha schierato sostanzialmente 3 registi: David Humphreys, Ronan O’Gara e Jonathan Sexton. Il più longevo in termini anagrafici è appunto Sexton che con ogni probabilità giocherà la RWC a 38 anni.
Ripercorrere come è arrivato ad essere il numero 1 di una intera generazione di mediani d’apertura, aiuta a capire quanta fame di rugby c’è ancora in lui.
In origine fu Humphreys vs O’Gara. La staffetta dei primi anni 2000 sembrava offrire un modello di crescita difficilmente attaccabile. Il vecchio leone dell’Ulster, giocatore di grande affidabilità nonché brillante interprete dalla piazzola, che viene affiancato e talvolta scalzato da un giovane 10 di talento.
Questo è stato il modo in cui O’Gara è entrato nel rugby professionistico. In forma graduale, imparando da un top player, ritagliandosi spazi sempre più importanti, vivendo una rivalità fastidiosa e avvincente al tempo stesso.
Anche il buon vecchio David Humphreys ha saputo onorare al meglio la Green Jersey
Passato Humphreys, ROG ha avuto la strada spalancata verso l’esclusività del ruolo. E infatti il suo CV parla chiaro: 13 anni di Irlanda, 1028 punti, una carriera a dir poco ragguardevole. Fino all’arrivo di Sexton, che invece la gloria se l’è dovuta sudare molto di più.
Possiamo dirlo, O’Gara è stato il principino del Munster, un golden boy dal look velatamente snob, capace di entrare nel palcoscenico del rugby che conta con le stimmate del predestinato.
Per Jonny Jeremiah Sexton la carriera non è stata così lineare. Ha dovuto sgomitare parecchio per fare breccia nel cuore dei tifosi e soprattutto per conquistare la fiducia incondizionata degli allenatori. Riserva di Contepomi nei dubliners, oscurato dal genio di ROG in nazionale, per lui le porte dell’alto livello stentavano ad aprirsi.
Galeotta fu la semifinale di Heineken Cup 2009, quando gli attributi del ventiquattrenne Sexton vennero fuori davanti agli 82.000 spettatori di Croke Park. L’infortunio al ginocchio di Contepomi lasciò spazio alle prodezze del suo sostituto che sfruttò l’occasione e fece le cose in grande, proprio in faccia al rivale più detestato: Ronan O’Gara. In quel match c’è il sunto di un’epoca. Munster che abdica dal dominio europeo e lo fa in favore dei rivali del Leinster, ma anche un rabbioso mediano di apertura semi sconosciuto che urla in faccia al senatore: ‘ci sono anche io e sono qui per restare!’
Il drop da 50 mt nella finale di Heineken del 2009, la prima performance da vero protagonista dopo la semifinale di Croke Park, consacra la stella di un giocatore che non smetterà più di brillare.
Da lì in poi sarà un crescendo rossiniano di conquiste individuali e collettive.
Se c’è una cosa che Sexton ha in più rispetto ad O’Gara, ma anche rispetto a Paddy Jackson, Ian Madigan, Jack Carty, Joey Carbery e tutti i contendenti che hanno provato a soffiargli il posto è la personalità nella conduzione della squadra. Analizzando le caratteristiche di ognuno dei numeri 10 che lo hanno affiancato, troveremo ottime percentuali di realizzazione, grandi capacità di gestione del gioco al piede, ma nessuno come lui è stato capace di accentrare così tanto il gioco d’attacco su di sé. Più il livello dell’avversario si alza, tanto più Sexton ci prova gusto a competere, a metterci la faccia, ad attaccare in prima persona. Merito di un’educazione sviluppata al St. Mary’s College di Dublino, luogo in cui la propensione a giocare un rugby espansivo viene insegnata al pari degli scritti di James Joyce.
Ed è così che lo ritroviamo, giustamente, a 37 anni protagonista nel Sei Nazioni 2022.
Non potrebbe essere altrimenti, perchè la IRFU nel confermare il suo impegno contrattuale ha fatto una scelta più che condivisibile.
Possiamo dirlo senza rischiare di essere contraddetti: finché un professionista è il migliore nel suo ruolo, la carta d’identità non può rappresentare un formale impedimento per scendere in campo. Sexton docet.