Sabato 14 marzo 2021 si svolgerà l’Assemblea Ordinaria per l’elezione del Presidente della Federazione Italiana Rugby e dei consiglieri federali.
Nei pochi giorni che ci separano dallo scrutinio cerchiamo di mettere insieme qualche riflessione, nella certezza che essere rimasti marginali rispetto alla gazzarra della campagna elettorale sia stato un bene per il blog e anche per chi ci legge.
Nessuna paura di prendere posizione sia chiaro, piuttosto la consapevolezza che certe polemiche siano diventate molto sterili. Finché sarà possibile Ohvale parlerà di rugby giocato. Questo è il nostro obiettivo.
Dopo il preambolo arrivano i quesiti. Che cosa succederà il 14 marzo? O se vogliamo dirla meglio, quale futuro del movimento italiano se alla guida della FIR si confermerà l’attuale dirigenza? Quali prospettive in caso di cambio della guardia con l’insediamento di un nuovo Presidente?
Tutto deve cambiare perchè niente cambi
Sarà per una sorta di pessimismo cosmico, sarà perché la fase storica che attraversa il rugby nostrano è quanto mai negativa, ma dalla data del mio primo tesseramento, anno 1996, alle vicende del marzo 2021 non ho mai avuto l’impressione che la stanza dei bottoni potesse cambiare in concreto le sorti di chi vive il campo. Non ieri, tantomeno oggi.
Stiamo affrontando un calvario tecnico, culturale ed organizzativo di cui non si intravede la fine. Premesso che ci sia mai stato un inizio.
Già, perché se deprimersi sul presente è sbagliato, richiamare i fantomatici fasti del passato è altrettanto masochistico. I fasti, quelli veri, noi non ce li abbiamo mai avuti. Se escludiamo l’entrata in punta di piedi nel Sei Nazioni anno 2000 e le splendide vittorie della generazione Coste agli albori del professionismo ci rimane poco a cui aggrapparsi.
Parlando del presente, cioè dei maledetti risultati della nazionale maggiore è vero che siamo stati un po’ meglio di così, ma quanto meglio rispetto ai competitor con cui ci confrontiamo?
Siamo pur sempre il popolo del rugby, quelli che tributano (o tributavano?) l’applauso ad ogni giro di campo della squadra, sia che gli azzurri abbiano perso di poco sia che abbiano perso di molto. Non esattamente un pool di sportivi e di tifosi abituati a masticare eccellenza.
Ci vorrebbe uno sciamano
Risulta difficile dare fiducia ad occhi chiusi al prossimo Presidente FIR, chiunque esso sia, senza considerare i limiti evidenti che l’ecosistema rugby e, per esteso tutta la galassia dello sport italiano, hanno al loro interno. Anche senza l’ausilio di statistiche troppo elaborate, verrebbe da chiedere: come si può dare una scossa ad un movimento che esprime 90.000 tesserati su 60 milioni di abitanti? Come si può essere ottimisti in un Paese che brilla in negativo per l’età media della popolazione (da censimento, cinque nonni per ogni bambino)? Che brilla in negativo anche per sedentarietà, campanilismo, carenza di infrastrutture, contrattualistica, dilettantismo, varie ed eventuali e chi più ne ha più ne metta?
È un quadro desolante. Meglio fermarsi qui prima di collezionare la più pomposa fiera dei luoghi comuni che non aiuta di certo la qualità del dibattito, semmai possiamo spostare l’asse del discorso sui programmi dei candidati.
Risorse, competenze & altre amenità
Gavazzi, Vaccari, Saccà, Innocenti, Poggiali. Cinque profili per una poltrona. Cinque programmi per ricostruire, migliorare, condividere.
Dopo rapida scansione dei comprensibili buoni propositi, leggendo anche interviste, dichiarazioni e comunicati stampa, mi sento di poter dire che non c’è un fascicolo che sulla carta non sia valido. Tutti trattano i temi più importanti, i più caldi, i più chiacchierati dagli addetti ai lavori.
Si va da una migliore gestione dell’area tecnico – sportiva, al reperimento di fondi utili al sostegno del rugby di base, passando alla gestione oculata dell’alto livello giovanile, fino al rilancio dei campionati, il marketing, la trasparenza dei bilanci, l’inserimento di un direttore generale ecc.ecc. Tutto condivisibile. E allora, ennesima domanda che sorge spontanea: dopo questa fotografia che ci dice cosa serve, quali sarebbero gli uomini deputati ai ruoli strategici? Quali skills porterebbero in dote?
Perché se gli obiettivi sono più o meno facili da tracciare, poi diventa più complesso trovare le risorse umane che siano in grado di maneggiare con competenze operative l’argomento “rugby”. Dalla programmazione all’azione in Italia ci passa un abisso. Sarà bravo chi riuscirà almeno ad accorciare questa distanza tra il dire e il fare.
Chi la dura la vince
È difficile pensare che Gavazzi, Innocenti, Poggiali, Saccà e Vaccari siano in ballo per meri scopi filantropici. Le vittorie, le sconfitte e gli sviluppi di una Federazione si intrecciano con la diplomazia, la propaganda, i giochi di potere.
Le ambizioni personali di ognuno, come in ogni ambiente politico che si rispetti, hanno un peso non trascurabile. Al netto degli screzi fra le opposte fazioni, dopo 20 anni di progetti tecnici tortuosi e infruttuosi, la domanda è: abbiamo bisogno di un Presidente buono di cuore o di un marpione capace dietro alla scrivania? Io spero nella seconda opzione, ma poi alla resa dei conti non so quanto il prossimo Presidente sarà capace di sedersi ai tavoli della politica, quella vera, ed ottenere ciò che ci serve per mandare avanti la baracca.
Meglio limitare lo spazio di riflessioni ad un semplice pronostico.
Seguendo a tentoni il sentiment collettivo si deduce che Gavazzi potrebbe non avere più la stessa solidità che gli consentì la riconferma del quadriennio scorso. Il mix fra risultati negativi, gestione disordinata del post pandemia e scarso appeal mediatico non depone a suo favore. Al contrario Innocenti e Vaccari mettono sul piatto il loro passato da giocatori di alto profilo, un fattore X che nel nostro sport ha un’incidenza. Innocenti poi, anche grazie ad una opposizione paziente, sembra essere arrivato a giocarsi definitivamente l’all-in con grandi speranze di vittoria. Vaccari è il nome nuovo e propone una visione moderna, a lungo raggio, ma paga al pari del Vice Presidente Saccà la permanenza in Consiglio Federale nell’ultima decade. Poggiali invece è il candidato meno “rugbistico” anche se fa capo ad un gruppo di lavoro come Pronti al Cambiamento che ha una struttura ben ramificata e le idee abbastanza chiare. Avessi due lire in tasca però scommetterei sul Gavazzi tris. Ocio.
Si può dare di più (senza essere eroi)
Sembra piuttosto evidente che ogni candidato dichiari di essere in grado di offrire qualcosa in più rispetto a ciò che esiste già. Dagli interventi pubblici dei candidati si evince un ragionamento lineare: la FIR ha i fondi, gioca il Sei Nazioni, ha una struttura piramidale seppur sgangherata che va dalle franchigie, al campionato domestico di Top 10, passando ai tornei giovanili, fino alle attività sociali, al rugby integrato, ecc. ecc. Un marchingegno complesso che c’è e si muove, ma funziona male, anzi a volte funziona all’incirca come un club. Deficit questo che non può essere la regola per una Federazione intenzionata a stare nel salotto delle grandi. Anche perché sviscerando gli anfratti del rugby di casa nostra, molti club non di rado propongono un’offerta tecnica e organizzativa migliore della Federazione stessa.
FIR vs Club: ma de che?
Nonostante certi difetti operativi siano tangibili e ben dibattuti, la contrapposizione che si è venuta a creare tra federazione e club sembra spostare l’attenzione dai problemi strutturali del nostro movimento. Abbiamo bisogno di cancellare le Accademie e gettarsi amorevolmente in un processo formativo completamente appaltato alle società? È questa la pillola che dovrebbe guarire tutti i malanni del nostro piccolo e disastrato mondo ovale?
O Troppo spesso ci dimentichiamo che la FIR è fatta dai club e che al contempo i club hanno bisogno della FIR?
Ci sono decine di società virtuose che lavorano bene per costruire gli atleti del domani, parallelamente queste realtà combattono con le centinaia di club che tanto virtuosi non sono. Quei club che per molto tempo (e ancora oggi) hanno letteralmente sputtanato le risorse umane ed economiche a loro disposizione, fra improbabili guru, director of rugby tronfi e atleti mercenari dai cognomi esotici e le saccocce piene di euro. Dunque ad una settimana dal voto l’augurio è che questa narrazione fuorviante possa scomparire una volta per tutte.
Cosa fare subito.
Se il nuovo corso federale sarà capace di elevarsi non lo possiamo sapere, ma la FIR può addolcire ogni forma di contrapposizione e dare l’esempio, questo si, con il prossimo Presidente che avrà la responsabilità di conferire un indirizzo preciso verso una gestione meno padronale dell’organo di governo.
I primi passi, che elenco qui in un atto di presunzione al limite della mitomania, potrebbero essere questi:
- Realizzare un nuovo sito web che non sia più ancorato al paleolitico come www.federugby.it . Un portale così poco agile nella versione da smartphone lo possiamo fare noi di Ohvale che spendiamo 50 euro l’anno, non la Federazione.
- In quel sito aprire una pagina “Lavora con noi” e dare concretezza al tema della meritocrazia. Una Federazione moderna deve raccogliere professionalità eccellenti e certificate. Avanti tutta.
- In pieno Mattarella style, il vertice deve parlare al popolo del rugby italiano con un discorso presidenziale da realizzare una volta all’anno in cui tutti i tesserati possano ascoltare con le proprie orecchie (e non attraverso i verbali dei consigli in PDF ) lo stato di salute dell’unione. Con la politica sportiva che va da una parte e l’area tecnica dall’altra. La politica (anche quella sportiva) non ha bisogno di comunicazione. È la Comunicazione.
Intanto partiamo così, poi a peggiorare siamo sempre in tempo.