“Leo Cullen è certamente un leader di uomini, ha una vasta esperienza, grande conoscenza del rugby e immagino che sarà un ottimo allenatore.” Così parlò Matt O’Connor, head coach di Leinster. Anno 2013.
Sette anni dopo Leo Cullen è vestito di tutto punto, se ne sta seduto nel suo box tecnico, rivolto verso una tribuna deserta, dentro un’ Aviva Stadium a sua volta deserto per colpa di una pandemia mondiale che nessuno aveva messo in conto. Concentrato e attento. In campo si gioca la finale di Pro 14 2019/20 e a contendersi la coppa c’è sempre il Leinster, una squadra che sembra plasmata ad immagine e somiglianza del suo Head Coach. Chi vincerà quel match nemmeno a dirlo: Leinster 27 – Ulster 5 e dominio celtico confermato.
Il Leinster sconfitto il 2 gennaio 2021 dal Connacht dopo un anno e otto mesi di imbattibilità, ha un palmares fatto di 7 edizioni del Pro 14, 4 Champions Cup e 1 Challenge Cup. Dal 2015, cioè da quando Cullen ha preso il timone dei dubliners, sono arrivate 3 vittorie in campionato, un trionfo europeo e due finali continentali perse. Quattro titoli in cinque anni per un coach che ha ereditato una squadra all’epoca destabilizzata nelle sue fondamenta, ricostruendola sui suoi cardini culturali, rivitalizzando un ambiente che è abituato a vivere il rugby delle grandi emozioni.
Cullen ha preso il posto di quel Matt O’Connor che nel 2015 fu tacciato di aver distrutto il Leinster brand of rugby. I fans odiavano l’ex coach dei Queensland Reds e non andarono troppo per il sottile, chiedendo addirittura le dimissioni di O’Connor ricorrendo alla piattaforma per la raccolta firme change.org.
In effetti la situazione stava sfuggendo di mano. Nelle due stagioni sotto la guida del tecnico australiano si ricordano di più le 8 sconfitte e i 3 pareggi in campionato (doppia sconfitta con i Dragons) del 2014/15, piuttosto che la vittoria del Pro 12 nella stagione precedente.
Il Leinster di oggi non ha nulla in comune con quel gruppo, anzi, è una squadra capace di vincere il Pro 14 2019/20 senza perdere una partita, allungando la striscia a tutto il 2020. Siamo dentro un record che sarebbe diventato epocale a fronte della conquista della Champions Cup, ma sappiamo tutti che i Saracens si sono messi di traverso.
Proviamo a capire gli ingredienti che fanno grande questo club e andiamo per gradi ponendoci subito un quesito. Cos’è che contribuisce a rendere così competitiva la franchigia più vincente del rugby irlandese?
Lo staff tecnico, la produzione del talento e la club culture sono tre baluardi non negoziabili. E Leinster riesce a mischiarli con rara efficacia.
Staff Tecnico.
Negli ultimi 15 anni il Leinster è stato un incubatore di campioni. Sia sul campo che fuori. Si sono succeduti tre tecnici che poi non hanno tardato a conquistare la grande ribalta internazionale. Declan Kidney, Michael Cheika e Joe Schmidt. La cura nello scegliere un management di qualità è alla base dei successi presenti e passati. Cullen vestiva i panni del leader già da giocatore, ma per completare il delicato mosaico degli allenatori si è affidato a dei profili di grande carisma (e di grande CV) come Stuart Lancaster, Felipe Contepomi, Robin McBride.
L’assioma Munster=Mischia, Leinster=Trequarti è ormai un lontano ricordo. Il Leinster è la franchigia irlandese più forte perché è la più equilibrata. Il Munster di Van Graan è una squadra inchiodata ad un game plan tanto monotono quanto a volte inefficace. Ulster è ambizioso, fortissimo in mischia, ma gli manca un po’ di varietà in alcuni ruoli chiave. Connacht dal canto suo è un development team piuttosto sbarazzino e non si può dire che non svolga al meglio il suo ruolo.
Il Leinster a conti fatti riesce ad essere una formazione capace di ottenere ciò che vuole sia in attacco che in difesa, mettendo tutte le numerose individualità della folta rosa in condizione di esprimersi al meglio. Ogni week end di gare Cullen e Lancaster possono scegliere su un pool di 55 giocatori. Per gestire un gruppo così florido hanno impostato un rapporto di comunicazione molto aperto, in cui chi è dentro e chi sta fuori sa il perchè, sa cosa deve fare per giocarsi le sue carte. E tutto ciò crea un circolo virtuoso di grande competizione interna.
Produzione del talento.
Non è facile conciliare le esigenze di un team bramoso di trofei con le richieste di una federazione che vuole una squadra nazionale altrettanto vincente. In questa relazione delicata fra pesi massimi del rugby irlandese entrambe le entità hanno raggiunto un punto di equilibrio invidiabile. E lo hanno fatto anche grazie ai dubliners: Leinster sforna talenti, IRFU li distribuisce.
Nel 2018, anno della vittoria in Champions, due giocatori come Dan Leavy e Jordi Murphy hanno iniziato la stagione come pedine di rincalzo, ma entrambi i giocatori hanno strappato una maglia da titolari durante la seconda metà dell’anno a causa degli infortuni a Sean O’Brien, Josh Van der Flier, Jamie Heaslip e Jack Conan.
Leavy è approdato in nazionale in pieno stile Working Class Hero, mentre Murphy è andato a Belfast per proseguire una ottima carriera e lasciare spazio ai giovani emergenti Deegan e Doris. In quello stesso anno Joey Carbery e Ross Byrne erano rispettivamente seconda e terza scelta allo spot di mediano di apertura.
Oggi Carbery (infortunato a tempo indeterminato) è migrato a Munster, mentre Byrne a Leinster ha un minutaggio molto alto e si è conquistato uno spazio rilevante. Per la maglia n.10 d’Irlanda dietro al talismano Sexton oggi ci sono due numeri 10 di qualità, entrambi cresciuti a Dublino. Questi esempi sono utili per capire gli standard che tutta la galassia Leinster persegue.
La sconfitta di sabato 2 gennaio ha messo fine ad una striscia lunghissima di vittorie. Se poi sfogliamo la distinta del Connacht troviamo che, solo fra i giocatori in campo, Delahunt, Daly, Thornbury, Roux, Prendergast hanno un passato formativo proprio a Dublino.
Le due squadre parallele dell’ Academy e del Leinster A infine sono strumenti di formazione permanente, che non smettono mai di lavorare alla costruzione di grandi giocatori. E tutto il movimento irlandese ne trae beneficio.
Club Culture.
Cosa significhi vivere il Leinster ce lo spiegano implicitamente i fenomeni internazionali che sono approdati a Dublino. La strategia dirigenziale é sempre stata chiara: grande profondità della rosa, cura dei dettagli e coinvolgimento di atleti stranieri che possano aggiungere l’x factor sul piano tecnico ed umano.
Ecco che alcuni giocatori dalla grande personalità come Scott Fardy, Isa Nacewa, Rocky Elsom, Nathan Hines, Brad Thorn ed Ollie Le Roux hanno costruito la storia del club contribuendo alla diffusione di quella mentalità vincente che é un marchio di fabbrica riconosciuto.
Pochi e selezionatissimi overseas, portati in Irlanda per dare la possibilità al vivaio di crescere serenamente, abbeverandosi alle competenze impareggiabili dei fenomeni stranieri.
Felipe Contepomi in blu jersey dal 2003 al 2009, ha giocato a Dublino forse il miglior rugby della carriera, collezionando 1225 punti in 116 presenze.
È tornato in veste di allenatore sul finire del 2018 e ha fotografato l’essenza del suo team con poche semplici parole: “Per me, le squadre più grandi sono quelle che migliorano quando vincono, che vogliono continuare a migliorare e cambiare. Questa è la sfida quotidiana più grande per il Leinster.”