Umbro veste l’Inghilterra del futuro, ma quanto erano belle le maglie del passato?

L’annuncio di Umbro come nuovo technical kit partner dei Bristol Bears ha scoperto definitivamente le carte. Il marchio più antico del mondo del calcio, fondato in Inghilterra nel 1924 dai fratelli Humphreys, torna prepotentemente a produrre vestiario per il rugby.

Due settimane fa l’annuncio più importante, quello della partnership con la RFU per fornire l’equipaggiamento alla nazionale inglese di rugby dalla fine dell’anno 2020 . Un accoppiamento insolito, da una parte i decani del team wear calcistico, dall’altra i genitori del rugby mondiale. Il matrimonio è diventato possibile perchè la RFU si è trovata prendere in considerazione un’offerta da circa 6 milioni di sterline all’anno. Cioè quasi un milione di sterline in più rispetto ai 5 milioni offerti da Canterbury.

Per noi malati del rugby in ogni sua forma, parlare di abbigliamento tecnico non è un tema così strampalato, anzi. Il corredo delle nazionali e delle squadre di club spesso corrisponde al primo indice di gradevolezza di chi scende in campo. A chi non è mai capitato di trovare una squadra più simpatica di un’altra solo perchè meglio vestita?

Il rapporto fra Umbro e Rugby in ogni caso non è una novità. A cavallo fra gli anni 80 e gli anni 90 il brand inglese ha vestito il blocco del rugby anglosassone timbrando il kit di Scozia, Irlanda, Galles e appunto Inghilterra. Stiamo parlando di quelle splendide maglie 100% cotone con il colletto rigido e le maniche lunghe. Uno status symbol che ha segnato lo stile del rugby fino all’avvento delle maglie stretch, di sicuro più comode, ma anche molto meno affascinanti.

Poi il logo a forma di diamante ha progressivamente lasciato la palla ovale per concentrarsi quasi esclusivamente sul calcio. Con ottimi risultati. Infatti Umbro è diventata celebre per la qualità della produzione, ma anche per le finiture curate che rendevano maglie a prima vista semplici, in realtà molto particolari fin nei minimi dettagli del tessuto. Di maglie storiche potremmo citarne a centinaia. Memorabili le divise del Brasile campione del mondo nel 1994, dell’Inter 1995 sponsorizzata Fiorucci, e dell’Inghilterra versione Europeo 1996.

Paul Gascoigne biondo ossigenato vale quasi quanto la maglia dell’Inghilterra all’Europeo del 1996 (Photo by Bongarts/Getty Images)

Nel frattempo sui campi di Ovalia è comparsa Reebok, oggi seconda pelle del crossfit mondiale, che durante gli anni 90 se ne stava gagliarda sulle maglie dell’Australia campione del mondo nel 1999 come dell’Italia di Georges Coste e del Galles di Neil Jenkins. Siamo nel periodo in cui il fulvo mediano di apertura gallese ancora piazzava con il mucchietto di terra al posto della piazzola.

Julian Gardner con la maglia dell’Italia (Photo by Mike Egerton/EMPICS via Getty Images)

Fra il finire degli anni 90 e i primi anni 2000 il rugby in pieno mutamento strutturale ha coinvolto i brand più famosi e diffusi dello sport mondiale come Nike (Francia, Sudafrica, Irlanda, Inghilterra e oggi solo con Argentina), Adidas (All Blacks, B&I Lions, Crusaders, Samoa solo per citare i più noti), Kooga e ovviamente Canterbury.

Impossibile non ricordare qualche brand insolito come Topper (Argentina RWC 2003) , S&F sport (Uruguay RWC 2003) e Kukri (Georgia RWC 2003). Lo spartiacque definitivo arriva nel 2007, quando il cotone lascia spazio al polyestere. I kit da gioco non pesano più 3 kg in caso di pioggia, ma diventano indossabili praticamente solo in campo.

Uruguay, Georgia e Argentina alla RWC 2003, l’ultima edizione con una discreta diffusione di maglie old style.

Oggi ci troviamo di fronte ad una nuova realtà in cui aziende come Macron, Errea, Puma, Asics, Kappa, Umbro hanno deciso di cogliere al volo la sfida di convertire una produzione storicamente dedicata al calcio, al volley o al running esplorando un mercato come il rugby in cui l’abito fa un po’ il monaco, e soprattutto fa da collante con l’identità della propria squadra in maniera profonda.

Non è un mistero che alcune marche come Diadora, Lotto, Ellesse, Fila, emblemi del made in Italy, stiano tornando alla ribalta con linee di abiti sportivi vintage. E il rugby riscoperto da Umbro si presta ancora meglio all’operazione di rispolvero del vecchio taglio di casacca. Lo stile “cotton” , anche se inutilizzabile in campo è un taglio immortale, perchè si può indossare senza problemi dalle campagne del Sussex in un tiepido pomeriggio di aprile, fino all’ apericena di ottobre ai tavoli del  Camparino di Milano.

Mick Jagger in versione rugby school boy. Con la Coca Cola. Quake dei due elementi vi sorprende di più?

Clicca qui  sotto per vedere  la maglia vintage del Benetton, icona di stile anni 80:

https://www.80scasualclassics.co.uk/blog/benetton-rugby-shirt-casuals/

Il team wear dei giorni nostri però ha dovuto mettere da parte il nostalgico legame con le tradizioni e concentrarsi sul marketing. Una mossa comprensibile. Le maglie in fondo sono uno strumento di visibilità per gli sponsor e una tela di lavoro per i designer. Più sono accattivanti e più vendono. Basti pensare alle mute dello Stade Francais ispirate alle serigrafie di Andy Warhol o alla serie “superheroes” adottata dalle franchigie sudafricane per i derby della stagione 2018/19.

Fisici da marziani, magliette da supereroi [credit SARU]

In ogni caso questo blog ha un occhio di riguardo per i tempi che furono. Il retrò è insito nel nostro modo di intendere il rugby e di conseguenza la moda. Quando abbiamo letto il nome di Umbro accostato a quello di England Rugby è salita la curiosità per il lancio del nuovo kit. Sperando che la seconda pelle degli uomini di Albione sia influenzata dai fasti del passato.

La maglia del centenario della RFU, splendida.

Ecco, per non sbagliarci, il tessuto che per noi trasuda rugby è fatto di cotone.

Uno stile borghese che bene o male ha segnato un’epoca e che non faremmo fatica ad indossare per una cresima, un matrimonio o per una serata casual a Temple Bar.