Citizen Cane: la maglia numero 7 torna a casa

La fascia di capitano degli All Blacks di nuovo al braccio di un numero 7

Sam Cane si ritiene sicuramente fortunato per essere stato scelto da Ian Foster per essere il nuovo capitano degli All Blacks. Una sensazione forte, ma forse seconda all’apprendere che non avrebbe dovuto passare tutta la vita su una sedia a rotelle dopo essersi letteralmente rotto l’osso del collo in un incidente di gioco.

“Al momento il rugby non è più la mia principale priorità e ai tanti che mi hanno chiesto se sarò alla prossima Coppa del Mondo rispondo che ora come ora è la cosa più lontana dalla mia mente” diceva a gennaio del 2019, mentre il fantasma di un prematuro ritiro aleggiava all’orizzonte. Poi le cose per fortuna sono andate di bene in meglio: Cane è tornato in campo, ha indossato di nuovo la fascia di capitano dei suoi Chiefs ed è pure andato in Giappone con la nazionale, anche se è partito dalla panchina nella decisiva semifinale contro l’Inghilterra, una scelta che tanti addetti ai lavori non hanno perdonato all’allora head coach Steve Hansen.



La fascia di capitano a Sam Cane è una delle poche news di cui non abbiamo parlato nell’ultimo episodio di Quindici, con diffusi sproloqui sul rugby italiano ed internazionale

Hansen, però, fu anche il primo a consegnargli il capitanato degli All Blacks, gradi che Cane ha vestito due volte in carriera.

Londra, anno 2015, pomeriggio libero per i tuttineri prima della partita con la Namibia di Rugby World Cup. Cane esce dall’albergo da solo, deve andare dal parrucchiere.

Arrivato di fronte all’ingresso del salone, un taxi accosta al suo fianco. Si apre lo sportello e scende Steve Hansen, con la sua faccia da boxer, nel senso del cane: “Sam, contro la Namibia parti titolare.”

Fantastico. Ogni minuto è un regalo per un numero 7, chiuso dalla leggenda Richie McCaw.

“Ah, Sam. Sarai il capitano.”

Shock. Carismatico e esemplare, Cane è sicuramente stato sempre un giocatore dalle qualità giuste per imporsi come leader, ma nel 2015, a 23 anni, il flanker non era neanche capitano della sua franchigia.

Lo è diventato subito dopo quel mondiale, nel 2016, attraversando stagioni buone e meno buone in Super Rugby. Con il pensionamento di McCaw, poi, è diventato un punto fisso degli All Blacks, mantenendo le promesse già espresse in Italia, al mondiale giovanile 2011: torneo vinto e titolo di miglior giocatore.

Debutto in nazionale maggiore a 20 anni, titolare al suo secondo cap, inserito nel gruppo di leadership dopo appena due stagioni: gli ingredienti di base per un giocatore di un certo tipo c’erano fin da subito. Almeno fino a quel Nuova Zelanda-Sudafrica in cui, in una ruck, le sue vertebre si fratturano a causa di una collisione contro il collo, rimasto troppo esposto. Un incidente che poteva costare più  di una carriera.


Il video confezionato dagli All Blacks con Sam Cane, poco prima del mondiale in Giappone

“Non mi piace pensarci troppo. Avrebbe potuto essere tutta un’altra storia.”

E pensare che dal campo Cane esce comunque sulle proprie gambe.

Da un punto di vista strettamente sportivo, però, l’infortunio di Cane avrebbe potuto significare, nonostante il ritorno in campo, perdere in qualche modo il suo ruolo di prescelto. Un’investitura precoce che, per via della lunga assenze, delle condizioni fisiche e di altri fattori esogeni, avrebbe potuto sciogliersi prima di diventare realtà.

La corsa al grado di capitano non era così scontata: Sam Whitelock poteva ancora dire la sua nonostante il sabbatico nipponico in corso, viste le numerose occasioni in cui si è trovato a guidare la squadra, e sembrava l’opzione più quotata, mentre anche Beauden Barrett è un giocatore di gigantesca influenza all’interno dello spogliatoio. La nomina di Cane era assai meno scontata di quanto non lo fosse stata quella di Kieran Read cinque anni fa, al termine dell’era di McCaw, e il fatto che il terza linea sia un titolare inamovibile degli All Blacks è, secondo alcuni, tutto da dimostrare.

Cane però non solo rispecchia l’archetipo del capitano con il 7 sulla schiena che conquista l’immaginario di pubblico e stampa, non è solo il tipo di giocatore perfetto per essere la punta di diamante di un gruppo di leadership e un esempio continuo di abnegazione e dedizione al proprio lavoro. E’ anche un ottimo ambasciatore per il rugby neozelandese: tanto bestiale in campo, quanto umile, sobrio e posato al di fuori.

E così la fascia è tornata a casa, su quella maglia nera numero 7 che sarà ancora una volta il simbolo del primus inter pares fra i princeps della testuggine neozelandese.