El capitan

Ascesa e ambizioni dell'uomo che vuole scuotere le fondamenta di World Rugby

Non chiamatelo outsider. Non lui. Non Agustin Pichot, 46 anni ben portati e un curriculum sportivo di quelli che provocano l’inchino. L’ex capitano dei Pumas si appresta a sfidare l’aristocrazia del rugby mondiale puntando diritto alla poltrona più ambita di World Rugby, quella di Presidente.

I popoli latini vanno matti per le storie che trasudano pathos. Agustin Pichot dovrebbe essere il protagonista di una di queste perché in carriera è stato capitano della nazionale Argentina, soprattutto di quella da libro cuore del 2007, è stato anima carismatica del rugby sudamericano e soprattutto è il baluardo di una piccola governance interna a World Rugby che si è posizionata come antagonista verso i dogmi conservatori del rugby contemporaneo.

La camiseta del passionario in albiceleste però gli è sempre andata stretta. Fin dai tempi in cui giovanissimo comandava il pack del Club Atletico di San Isidro, ovvero una delle due squadre che più incarna l’upper class sportiva bonarense. Fisico fuori dal tempo, 175 cm per 78 kg, capello fluente, look da cantautore della Pampa, calzettone abbassato e un feeling mai nascosto con i passaggi in tuffo.

Gli elementi folkloristici si fermano qui. Pichot infatti è stato uno dei mediani di mischia più forti degli anni 2000, abile nel coniugare le innate doti di leadership ad un bagaglio tecnico completo, in cui la capacità di far muovere sapientemente i giocatori in giro per il campo era il piatto forte della casa.

Smessi i panni dell’atleta professionista ha iniziato un nuovo capitolo della sua vita sportiva, continuando a gravitare in quelle posizioni apicali dove si è sempre sentito a suo agio. Lo sviluppo del Plan de Alto Rendimiento all’interno della Federazione Argentina ne ha evidenziato sia le qualità manageriali che le ambizioni politiche. Non una semplice voce fuori dal coro, ma un chairman con il bastone del comando.

Nella nuova veste di ambasciatore del rugby argentino ha sponsorizzato una transizione verso il professionismo che sembrava essere una chimera. In parallelo alla carriera nei gangli federali ci sono state alcune controversie passate un po’ sotto traccia che però hanno fotografato un’immagine di Pichot più orientato alla carriera politica piuttosto che interlocutore aperto al dialogo con il blocco dei giocatori anti UAR guidato da Patricio Albacete .

La storia dei rapporti tra Federazione e Pumas è un capitolo travagliato. Il Pichot diventato dirigente nel 2009 in sostanza ha posato l’ascia di guerra del riottoso condottiero per occupare un posto di rango in quell’organo di governo che solo qualche anno prima aveva combattuto da dentro, insieme al gruppo dei veterani poi classificati terzi alla RWC del 2007.

All’epoca, e stiamo parlando del 2006, cioè quando i Pumas non si facevano problemi a vincere a Twickenham, la presidenza di Alejandro Risler fu accusata di avere un approccio fuori dal tempo perchè troppo conservatrice e votata al dilettantismo. Era un affronto inaccettabile per la squadra che si stava facendo spazio a colpi di imprese memorabili. Dieci anni dopo l’Argentina si era consacrata come un team di super professionisti, ormai stabile nella top 5 mondiale anche grazie al lavoro di Pichot. Un cambio di pelle che a dirla tutta oggi ancora stride con i problemi di autarchia manifestati fino alla RWC dell’autunno 2019.

Nel frattempo le ambizioni dell’ex mediano del CASI non si sono fermate. E’ diventato Vice Presidente di World Rugby e ha fatto sua la battaglia per allungare i tempi di equiparazione, come sua è stata la proposta di allestimento della Nations Cup che doveva prendere il posto dei Test Match autunnali. E’ sempre stato favorevole al meccanismo di promozioni e retrocessioni del Six Nations affinchè una tier 2 come la Georgia potesse giocarsi le sue carte.

In suo favore è arrivato l’endorsement di Clive Woodward.

Pichot si è speso in una ricerca attiva di soluzioni volta a costruire un rugby più sostenibile, definitivamente globale, un tentativo di scardinare gli interessi precostituiti attraverso cui ha ottenuto credito internazionale, ma anche alcune sonore cantonate come la bocciatura senza appello della Nations Cup.

Ha le idee chiare Agustin Pichot e la sfida al Presidente in uscita Bill Beaumont si giocherà su terreni che per ovvi motivi non possono essere analoghi. L’obiettivo di rendere il rugby uno sport per tutti sulla carta è condiviso, ma appare chiaro che da una parte c’è chi vuole picconare lo status quo del rugby business oriented, e dall’altra c’è chi lavora per aprire nuovi mercati funzionali al consolidamento del piccolo salotto popolato dalle home unions. E’ l’eterna sfida fra innovazione e tradizione. E’ Davide contro Golia. E’ il Capitano contro il Presidente. E’ la storia del rugby.