Il borsino mondiale vol. 5

Il termometro dei quarti di finale. Chi scende e chi sale nel recinto dei migliori.

Nel fine settimana appena trascorso ci siamo fregati le mani. Ci attendeva una scorpacciata di rugby d’altissimo e livello e le nostre aspettative sono state ripagate da quattro partite tanto entusiasmanti quanto diverse fra loro. Nel borsino non c’è il Giappone. Troppo limpida l’impresa dei nipponici per essere inserita solo nel girone dei promossi. Il movimento giapponese infatti richiede un focus più attento che realizzeremo in seconda battuta. In attesa delle semifinali, dello scontro fra emisfero nord ed emisfero sud, ecco il termometro dei quarti di finale.

PROMOSSI

Brodie Retallick: l’infortunio alla spalla durante il Rugby Championship aveva fatto andare in paranoia una intera nazione. Steve Hansen se lo è portato dietro sapendo che sarebbe stato disponibile solo dai quarti di finale in poi. Il gigante dei Chiefs è tornato di prepotenza contro l’Irlanda spadroneggiando un po’ per tutto il campo. Gestione perfetta per un giocatore che in semifinale contro l’Inghilterra potrebbe fare la differenza.

Il Sudafrica delle coppie: la gara con il Giappone è finita 26 a 3. Rivedendo il match è palese che i Boks potevano ottenere un risultato anche più largo, ma questo non conta perchè gli uomini di Erasmus dovevano solo vincere. Il successo è arrivato anche e soprattutto grazie a delle prestazioni superlative, perlopiù registrate in coppia. De Allende ed Am hanno costruito una cerniera difensiva impenetrabile. Etzebeth e De Jager si sono messi l’armatura ed hanno combattuto in ogni punto di incontro con la forza devastante che li contraddistingue. Mtawarira e Malherbe prima, Koch e Kitshoff dopo, sono stati i boss incontrastati della prima linea arando a più riprese la malcapitata mischia ordinata giapponese. Rugby noioso? A noi piace chiamarlo rugby efficace.

I riservisti protagonisti, Virimi Vakatawa e Charles Ollivon: in Francia si sa, il rugby è uno sport che riempie le prime pagine dei giornali. Basti pensare che i 31 convocati per il mondiale sono stati annunciati in diretta TV da Gilles Bouleau, un giornalista che in quanto a celebrità e competenza sta ad Enrico Mentana in Italia. Fra quei 31 atleti annunciati su TF1 Vakatawa ed Ollivon sono entrati dalla porta di servizio. Il primo in sostituzione dell’infortunato Doumayrou e il secondo come giocatore invitato per testarne le qualità in vista di una eventuale convocazione mondiale. Entrambi con pochissime credenziali, fra lo scetticismo generale. Nel quarto di finale con il Galles hanno semplicemente fatto la differenza, ricordandoci quanto i  tecnici francesi possono essere cervellotici e irrazionali nel processo di selezione.

I salvatori della patria Moriarty & Wainwright: La missione Rugby World Cup architettata da Gatland non è andata gambe all’aria grazie a loro due. Moriarty essenzialmente ha avuto il pregio di segnare la meta del ribaltone, mentre Wainwright aveva iniziato il lavoro di recupero dei Dragoni grazie ad una meta di rapina nel primo tempo. Oltre alle mete c’è di più: placcaggi, corse e palloni sporcati. Se il Galles è rimasto in piedi lo deve anche grazie alla loro capacità di giocare un match di sacrificio. Menzione anche per Parkes, Ball e Wyn Jones che non avranno dato spettacolo, ma nel lavoro oscuro sono stati fondamentali per la conquista della semifinale.

Uno per tutti, tutti per Watson: difficile trovare un inglese che contro l’Australia sia andato sotto gli standard di qualità richiesti da Eddie Jones. Curry? Underhill? Farrell? Tutti loro hanno garantito prestazioni da incorniciare. Noi però scegliamo Anthony Watson perchè il trequarti ala del Bath è definitivamente tornato a giocare al livello che gli compete. Non ha fatto mistero di essere finito in depressione a causa dei 13 mesi di lontananza dai campi. L’infortunio al tendine di achille rappresenta ormai un lontano ricordo e il suo velenoso footwork è tornato a impensierire gli avversari che devono difendere su di lui.

RIMANDATI

Cheika e Schmidt: il verdetto emerso nei quarti di finale non è ciò che essi speravano. Sul lato prettamente sportivo entrambi hanno fallito. La domanda è: possiamo realmente liquidare così il lavoro di questi due grandi tecnici? La risposta è no. Il giudizio rimane sospeso fra la valutazione dei risultati della RWC e il lavoro svolto sul lungo periodo. Michael Cheika in particolar modo ha dovuto vivere costantemente fra le critica dei media e un movimento di club che fatica a ritrovare il bandolo della matassa. Contro l’Inghilterra ha continuato a proporre scelte di formazione piuttosto bizzarre, ma al contempo ha lanciato il diciannovenne Petaia. Un personaggio mai banale che negli ultimi quattro anni post RWC 2015 ha raccolto meno di quanto meritasse. Su Schmidt si è detto molto, ma forse le parole più genuine le ha pronunciate Steve Hansen: “voglio congratularmi con Rory Best e Joe Schmidt, hanno fatto la differenza in questa squadra, e hanno trascorso un’ottima carriera nei loro rispettivi ruoli”. Ciò che ha fatto Smichdt in sei anni non si cancella con un colpo di spugna. Giù il cappello.

BOCCIATI

L’insostenibile leggerezza del fischietto. Wayne Barnes & Jaco Peyper : non ci piace parlare di arbitri e arbitraggi. E’ noioso oltre che perfettamente inutile. Per non tirare in ballo i direttori di gara però è necessario che loro non si rendano protagonisti di azioni eclatanti e invece la premiata coppia Barnes – Peyper ha fatto di tutto per finire sotto la lente di ingrandimento. Barnes ha arbitrato malissimo il match fra Giappone e Sudafrica ignorando dei falli evidenti (oltre che rischiosi) sul gioco aereo a sfavore del Sudafrica. Per non parlare della meta regolare non assegnata a De Allende che conferma una conduzione negativa a cui non eravamo abituati. Su Peyper c’è poco da dire. La foto incriminata è una sciocchezza piuttosto evitabile, soprattutto per chi fa del rugby la sua professione. Però è il momento di chiuderla qui. Pensare che il fischietto sudafricano sia stato in combutta con i gallesi è una enorme idiozia.

Sebastian Vahamaahina : adesso per lui c’è solo una rumorosa quanto interminabile gogna mediatica. La gomitata a Wainwright è costata carissima a lui e alla sua squadra, per cui è anche giusto che in qualità di colpevole subisca il peso della sua azione. Un fallo condannabile che non può essere tollerato perchè fatto da un professionista internazionale. Anche qui come per Lovotti va fatto un esercizio di equilibrio, provando a ricordare che il rugby è sport da guerrieri. Adrenalina, agonismo e nervi tesi possono far chiudere la vena a chiunque. Dalla poltrona è facile scrivere un tweet di offese, poi in campo la musica cambia e per questa ragione non possiamo essere felici del suo repentino ritiro dalla nazionale francese.

Jonathan Sexton : il faro d’Irlanda si è spento nel momento più importante. Ha trasformato i suoi punti di forza in punti di debolezza di fronte ad un avversario che era pronto a sfruttarne qualsiasi errore. Una ultima mondiale triste per un giocatore che ci aveva abituato alla perfezione ogni volta che la palla passava fra le sue mani