La partita di ieri fra Italia e Francia ha lasciato un po’ a tutti il forte sapore dell’amaro in bocca. Se la precedente vittoria con la Russia aveva diffuso ottimismo, proprio quella prestazione non poteva essere una premessa credibile con cui sperare di vincere allo Stade de France. A Parigi nonostante il gap fra le contendenti ci si aspettava ragionevolmente un’Italia almeno pimpante e agguerrita per ottanta minuti.
Invece la cronistoria della partita è andata molto diversamente. A fronte di un primo tempo nemmeno troppo combattuto, gli uomini di O’Shea hanno poi vissuto una seconda frazione da incubo. Il finale di Parigi non ammette repliche: 47 a 19, sette mete subìte e un dominio dei blues mai in discussione. Purtroppo niente di nuovo sul fronte azzurro. Ciò che ci spinge a una riflessione più profonda però è il livello di fisicità e attitudine che la squadra di Brunel ha messo in campo. Una Francia sperimentale, ancora volubile sul piano della disciplina, ma decisa a imporre il proprio gioco in modo molto differente rispetto a ciò che avevamo visto nell’ultimo turno del Sei Nazioni 2019 quando i francesi sembravano più un pulcino bagnato piuttosto che un leone in gabbia pronto a ruggire.
Cosa è successo allora ai blues? Se ci limitiamo al match di ieri la risposta è semplice. I giocatori di casa hanno avuto più fame di quelli italiani perché molti di loro non possono contare sul posto assicurato nel volo che porterà la squadra in Giappone. Noi tifosi italiani quando parliamo dei cugini vestiti di Blue pensiamo sempre ad una squadra abbordabile e commettiamo un errore di valutazione macroscopico. La Francia è una squadra in evoluzione, a tratti cervellotica, spesso incostante, ma ancora ricchissima di talento e soprattutto piena di opzioni tattiche. La stampa di Oltralpe (mai tenera con il XV dei blues) ha martellato duro per tutto il 2019 e lo staff di Brunel sa bene che la RWC non può essere una semplice passerella d’onore.
Premesso che per il Mondiale non sono stati nemmeno presi in considerazione giocatori come Parra, Bastereaud, Atonio, Lamerat, Thomas, nel match di Parigi sono scesi in campo alcuni osservati speciali come Guitoune, Taofifenua, Vakatawa, Camara, Picamoles e Huget. Appare chiaro che nelle gerarchie dello staff si tratta di giocatori non insostituibili e fa specie che fra essi ci siano gli ultimi tre della lista, ovvero uno dei migliori giocatori del Sei Nazioni 2018 (Camara), il numero 8 più influente del rugby francese (Picamoles) e un finalizzatore eccellente (Huget). Eppure dall’inizio della campagna mondiale i cosiddetti “riservisti”, atleti a margine della lista dei convocati, hanno impressionato così tanto che anche gli insostituibili sono diventati sostituibili. Questa incertezza ha innescato una carica agonistica feroce con cui Camara si è dimostrato incisivo e dinamico nelle specifiche tecniche che un flanker deve avere, Huget ha realizzato due mete, Picamoles si è calato nel ruolo a lui più congeniale distribuendo sportellate a tutto campo. Se Brunel voleva stimolarli a dare qualcosa in più, che dire?…Missione compiuta.
E noi siamo in grado di mettere la stessa pressione ai convocati per il Mondiale? La risposta è scontata: no. Questa mancanza di bagarre interna però inizia ad andare un po’ stretta per le esigenze che il rugby internazionale richiede. E’ vero che le franchigie hanno aumentato il numero degli atleti disponibili per la nazionale, ma non è un dato certo che essi siano anche competitivi nella folle giungla dei Test Match. Come possiamo affrontare squadre che scelgono i propri giocatori in base allo stato di forma più recente e non in base ad una presunta affidabilità sul lungo periodo? Tommaso Allan a 26 anni è al cinquantesimo cap e non sembrano esserci molti dubbi sul fatto che possa arrivare a cento. Se da una parte è un elemento di stabilità per tutto il gruppo azzurro, dall’altra sappiamo già che allo spot di apertura la camiseta numero 10 sarà cucita sulle sue spalle ancora a lungo.
I francesi ieri ci hanno dimostrato che una squadra nazionale può attraversare dei periodi bui anche senza essere l’espressione di un intero movimento. Infatti i risultati recenti dei blues non si possono prendere come indicativi rispetto allo stato del rugby francese nella sua totalità. Con una under 20 due volte campione del mondo, con gli stadi di Top 14 pieni (tranne ieri sera, 25.000 spettatori) e con due campionati professionistici tanto ricchi quanto equilibrati il paragone fra noi e loro è ancora una volta impietoso.
No, oggi non siamo in grado di battere la Francia a Parigi. E non siamo nemmeno in grado di passare ai quarti di finale della Coppa del Mondo. Mettiamoci l’animo in pace. Ciò che serve adesso è un lavoro duro per il bene del movimento, magari mettendo da parte quelle dichiarazioni roboanti dello staff azzurro che in questa fase servono solo ad alzare il livello di insoddisfazione dei tifosi. Avanti Italia, la luce fuori dal tunnel è ancora lontana.