A tu per tu con Alberto Chiesa
A poche ore dalla finalissima del Top 12 parla Alberto Chiesa, livornese di nascita, pratese di adozione e capitano del Calvisano. I lombardi sono la squadra più vincente del campionato italiano dell’era post Celtic League.
Alberto, sei a Calvisano dal 2013 e da quando sei in provincia di Brescia la tua squadra a maggio non smette di correre per il titolo italiano. Quante finali hai giocato in carriera?
Sono alla settima finale scudetto da quando gioco nei seniores, sei vissute a Calvisano ed una a Prato per essere precisi. Quando mi fanno notare il numero delle volte in cui ci siamo giocati lo scudetto mi fermo un attimo e penso che ogni anno sia un traguardo speciale. Nella carriera di uno sportivo si vive anche per provare queste emozioni.
Andiamo nello specifico. Calvisano contro Rovigo non è una partita come le altre. Negli ultimi anni le finali fra queste due squadre si sono svolte sempre in un clima di grande competizione, dentro e fuori dal campo. Che partita ti aspetti?
Tutto quello che succede fuori dal campo non ci interessa poi così tanto. Le polemiche rischiano solo di distogliere l’attenzione dalla partita. I giocatori che scenderanno in campo sono sicuro che risponderanno solo alla logica dell’agonismo, come è giusto che sia in una partita di rugby. Parlando della sfida posso affermare che siamo due squadre con filosofie di gioco diverse. Loro amano molto spostare il pallone e giocare sulle continuità dirette. Hanno anche un pacchetto molto potente, fra i più performanti del campionato in mischia chiusa. Questo mix fra la fisicità e il gioco brillante negli spazi aperti li rende una squadra difficile da affrontare. Non credo che in finale cambieranno molto il loro imprinting, per cui ci affronteranno come hanno sempre fatto: a viso aperto. Di fronte si troveranno un Calvisano che ha dimostrato di essere molto cinico. Siamo confidenti con il nostro sistema difensivo e quando il pallone è dalla nostra parte decidiamo con grande autorevolezza come e quando alzare il ritmo. Fino adesso ci è riuscito piuttosto bene e siamo certi che anche in finale affronteremo Rovigo con la giusta concretezza. Credo che l’analisi tecnica sia essenzialmente questa, con due squadre che vogliono lo scudetto senza scendere a compromessi con il proprio stile di gioco.
La stagione regolare si è conclusa con un primo posto indiscutibile. Il campionato però non era iniziato nel migliore dei modi. Qual è stato il punto di rottura del vostro Top 12?
Da quando sono a Calvisano è il primo anno che arrivo al giro di boa di dicembre con quattro sconfitte nel girone di andata. Dopo la debacle di Padova ci siamo fermati, abbiamo fatto quadrato e deciso che ci doveva essere un cambio di rotta sia per il blasone del club sia per il nostro gruppo. La partenza in sordina non era preventivata e ci ha trovato un po’ spiazzati, ma è necessario ricordare che siamo una squadra diversa ogni anno, che cambia molti uomini e i relativi equilibri in campo. In questa stagione abbiamo impiegato forse un po’ più tempo a costruire un’identità ben definita, ma io non ho mai perso la fiducia anche dopo le battute di arresto più pesanti, perché il nostro modo di allenarci e giocare è lo stesso da quattro anni, funziona, dà risultati e dunque dovevamo ricompattarci per portare i tanti giovani in rosa a esprimersi al meglio. Lo abbiamo fatto, anche grazie al gruppo dei senatori, e i risultati ottenuti nel resto della regular season parlano da soli.
Come si sono comportati i tanti ragazzi under 23 in rosa?
Ci tengo a precisare una cosa. In rosa arrivano molti ragazzi dai percorsi accademici e sono talvolta criticati. In realtà a Calvisano abbiamo dei giocatori che nonostante la giovane età si allenano con grande attitudine e mostrano tanta voglia di emergere. Sono approdati in squadra ragazzi molto solidi dal punto di vista mentale, con un’idea di crescita ben precisa. Ogni atleta fa storia a sé, ognuno matura con tempi e metodi diversi. Un anno può capitarti il giovane come Danilo Fischetti che conquista anche il titolo di miglior giocatore del campionato e un anno arrivano altri ragazzi validi ma con una curva di crescita meno immediata. In generale non ci possiamo lamentare dei nuovi innesti e anzi, dobbiamo dar loro il merito di aver risposto con carattere anche nei momenti più difficili della stagione.
In campo ti sei trasformato in un estremo di ruolo nonostante gli inizi di carriera ti abbiano visto protagonista in altre posizioni del campo, prevalentemente fra apertura e centro. Come ti trovi a dirigere il triangolo allargato?
Il ruolo che ho amato di più e quello di centro. A Prato giocavo numero dodici con funzione di doppio playmaker, mostrando più capacità di decision making piuttosto che le classiche doti da primo centro tutto fisico e placcaggi. Il nuovo ruolo di estremo mi è stato cucito addosso da coach Brunello e lì mi piace rispondere alle esigenze tattiche di cui la squadra ha bisogno. Non avendo caratteristiche di corsa ed estro come può avere un giocatore alla Minozzi preferisco interpretare il ruolo con uno stile più mirato al collettivo, magari mettendo i compagni in condizione di segnare o di non avere eccessiva pressione in alcune fasi del match. Da qualche anno ormai mi trovo accanto nel triangolo allargato a giocatori giovanissimi che spiccano per caratteristiche atletiche ma a volte necessitano anche di un po’ di esperienza che li guidi nelle scelte strategiche più giuste per la squadra.
Il Top 12 secondo tutti gli addetti ai lavori è sembrato molto equilibrato. Poi alla fine le neopromosse retrocedono e in finale ci vanno Rovigo e Calvisano. Come valuti il passaggio del campionato da 10 a 12 squadre?
Devo essere sincero. Ero convinto che il format a dodici avrebbe abbassato il livello generale del campionato. Invece la doppia retrocessione in sostanza ha smentito i miei timori perché le squadre che si giocavano la salvezza hanno sempre cercato di ottenere almeno un punto da ogni gara. Questo ha reso il Top 12 molto avvincente e combattuto per gran parte della stagione, anche se alla fine i risultati rispecchiano ciò che hai detto: chi sale dalla serie A retrocede e le big arrivano ai play off. Il pensiero di un “Super 8” comunque mi intriga perché andrebbe a costituire un pool di squadre tutte potenzialmente in lotta per il titolo. Certo, andrebbe pensata una formula adeguata che sopperisca al basso numero di partite, ma in futuro perche non farci una riflessione?
Quale squadre e quali giocatori ti hanno rubato l’occhio ?
Ho apprezzato molto il gioco del Valorugby, soprattutto della linea arretrata. La squadra emiliana è molto efficace nel mantenere il possesso e riprende un po’ quello che è il mio rugby – pensiero: se la palla in mano ce l’ho io allora significa che non è in mano degli altri. Questa capacità unita ad una rosa di giocatori molti forti, fra cui un Mirko Amenta che si conferma miglior numero 8 italiano del campionato, ha reso il Valorugby un avversario davvero interessante e almeno per me non una sorpresa ma una certezza. Poi inserisco anche il Calvisano che si è dimostrato la squadra più solida del top 12 in cui un giocatore come Paolo Pescetto, arrivato in sordina, si è conquistato il mio personale riconoscimento di giocatore rivelazione del torneo. Non si trovano tanti ragazzi così maturi e costanti alla sua età. Conosce il rugby a 360° e ama il nostro sport in maniera viscerale. Questa passione poi la riversa in campo, dove si è conquistato una maglia da titolare mostrando tanta sicurezza e personalità in un ruolo che doveva essere occupato da Sam Lane. I suoi punti sono stati fondamentali per arrivare fin qui.
Davanti a te ci sono ancora nuove sfide da giocatore. Riesci ad immaginarti un futuro da allenatore?
Si. Ti rispondo in maniera netta. E’ proprio quello che vorrei fare nel mio futuro. Calvisano mi sta dando la possibilità di crescere dal momento in cui tre anni fa mi ha affidato il gruppo under 18. Sto seguendo i percorsi federali per maturare l’esperienza necessaria ad affrontare questo ruolo, tanto stimolante quanto complesso. Al rugby ho dedicato tutta la mia vita e sono sicuro che la scelta migliore sia quella di restituire tutto ciò che ho ricevuto aiutando a crescere le nuove leve.