Le ultime indiscrezioni di mercato parlano di un possibile trasferimento di Andrea Zambonin dalle Zebre ad Exeter. Non proprio un fulmine a ciel sereno se si considera che allo scorso Sei Nazioni gli Azzurri convocati da Gonzalo Quesada impegnati all’estero erano 11 (senza contare Federico Mori, Pietro Ceccarelli, David Odiase e Francois Mey, rimasti ai box e tutti sotto contratto in Francia)
Danilo Fischetti andrà ai Northampton Saints, Tommaso Menoncello è fortemente corteggiato dallo Stade Rochelais, Nacho Brex è destinato al Toulon, la domanda sorge spontanea: chi sarà il prossimo?
Selon nos informations, le centre italien Tommaso Menoncello est en contacts avancés avec La Rochelle. Le club à la caravelle est sur le point de frapper fort sur le marché des transferts.
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— RUGBYRAMA (@RugbyramaFR) April 5, 2025
Il tema degli espatriati è sempre stato controverso. Da una parte c’è chi considera l’approdo all’estero come un’opportunità per far crescere i nostri migliori talenti, dall’altra c’è chi sottolinea la criticità nel gestire dei giocatori fondamentali per la nazionale sempre più esposti al tasso di usura del Top 14 e della Premiership.
Non c’è una posizione giusta ed una sbagliata, ma va considerato lo scenario attuale del rugby italiano e internazionale. Che cosa può offrire l’Italia ad un ragazzo che ha deciso di fare del rugby il suo lavoro? Una domanda che molti degli Azzurri al di fuori dai confini nazionali si saranno fatti spesso.
Vivere in Italia non è poi così male, ce lo raccontano anni di stereotipi sul Belpaese. Il buon cibo e la qualità complessiva della vita sono peculiarità da tenere in considerazione, soprattutto per chi ha un bel gruzzoletto da parte e vuole invecchiare bene, magari con un calice di vino, coccolato dalle dolci pendenze delle campagne toscane. E chi invece non è nato con la camicia e vuole ambire ad una carriera di spessore cosa dovrebbe fare?
Il capitale umano che se ne va è perdita di risorse e competenze
L’Italia è all’ultimo posto per capacità di attrarre giovani in Europa. In tredici anni, dal 2011 al 2023, circa 550mila ragazzi italiani tra i 18 e 34 anni sono emigrati. Numeri che hanno un senso anche nello sport, dove il professionismo delle discipline cosidette minori è troppo spesso vittima di improvvisazione, assenza di tutele e scarsa competitività contrattuale.
Chi bazzica i campi da rugby sa bene che l’unica realtà italiana capace di offrire una struttura professionistica sul modello dei principali club internazionali è il Benetton Treviso. Seppur con cifre altissime per il nostro contesto (nel 2023/24 ha registrato un bilancio da 14 milioni), la società biancoverde è ancora lontana dai 62 milioni dello Stade Toulosain di Ange Capuozzo o dai 58 milioni del Lyon di Monty Ioane. I club del Top 14 viaggiano su un monte ingaggi che sta tra gli 8 e gli 11 milioni di euro. Firmare un accordo in Francia o in Inghilterra vuol dire monetizzare il proprio percorso agonistico e dare un senso ai rischi che comporta uno sport da combattimento, magari guardando al futuro con più serenità.
Le rapport annuel pour la saison 2023-2024 a publié la corrélation entre le classement sportif et le budget. En Top 14, voir Toulouse champion résulte d’une logique budgétaire, à l’inverse des mauvaises saisons de Lyon et d’Agen.https://t.co/ON4zHrchRW
— RUGBYRAMA (@RugbyramaFR) April 11, 2025
A volte la questione economica non è l’unica cosa che conta, anzi, entrano in gioco dei fattori che poi hanno un peso rilevante nel delicato mosaico di sfaccettature alla base della vita di un atleta. La passione del pubblico ad esempio, ma anche la notorietà e la possibilità di vincere dei titoli. La novità di mercato che riguarda Fischetti può essere indicativa in questo senso.
La Premiership viaggia su cifre leggermente minori rispetto al Top 14, ma i Northampton Saints giocano un rugby spettacolare, sono infarciti di giocatori internazionali e rispondono ad una comunità sportiva molto dinamica. Arrivare allo stadio e sentire l’adrenalina dei tifosi prima di un big match di Champions Cup è troppo emozionante per non invogliare un atleta professionista a fare il grande salto.
Italia, preparati a un futuro da riscrivere
L’emorragia di Azzurri dalle franchigie italiane verso migliori lidi non sembra quindi destinata a fermarsi. La FIR deve far fronte ad un periodo di austerità e allo stato attuale non può più imporre dei paletti contrattuali come aveva fatto in passato, specialmente sul versante delle Zebre. Viste le non troppo celate lamentele di Gonzalo Quesada, il tema della ridotta disponibilità dei suoi uomini migliori rappresenta un’incognita non indifferente per il futuro.
Nel mondo ogni federazione opera a modo suo, ma siamo così convinti che il modello centralizzato in stile irlandese e neozelandese sia la soluzione a tutti i mali? Il Sudafrica ha vinto due Coppe del Mondo consecutive mettendo insieme un pool di talenti clamorosi mentre i club giapponesi ed europei si occupavano di pagarli. L’Argentina, fatta esclusione per il 2015 quando i Jaguares erano ancora in pista, ha ottenuto due semifinali mondiali nonostante la costante diaspora dei suoi giocatori.
Pumas e Springboks al contrario dell’Italia possono contare sulla forza dei club e su un numero di tesserati praticanti molto più alto, tale da non far sentire il bisogno di ricorrere agli equiparati per l’alta prestazione. La stessa Italia è andata forte nel Sei Nazioni 2007, 2013 e 2024, proprio in concomitanza con un discreto numero di Azzurri sparsi per l’Europa.

Nessuno può sorprendersi se degli sportivi professionisti, dunque dei competitori per definizione, scelgono di alzare l’asticella. La riflessione va fatta soprattutto quando dei giovani under 18/20 abbandonano il sistema formativo italiano (che sia di club o federale) per spostarsi verso le Academy inglesi e gli Espoirs francesi. Lo ha fatto in passato Edoardo Iachizzi, più di recente è toccato a Giovanni Sante, Alessandro Ortombina, Alessandro Ragusi, Pietro Todaro, Nicola Bozzo e molti altri prospetti sparsi nelle migliori compagini giovanili d’Europa.
Il professionismo è entrato a gamba tesa nel mondo del rugby esattamente 30 anni fa. L’Italia è arrivata contemporaneamente in anticipo e in ritardo sui tempi. Mentre gli altri paesi si adeguavano lentamente alla metamorfosi imposta dal dio denaro, noi portavamo in serie A i migliori stranieri del mondo. Erano i tempi del Milan di Berlusconi e di un prototipo di massima divisione nazionale un po’ condizionata dal mecenatismo dei presidenti facoltosi. Quando la situazione è diventata seria, cioè in concomitanza con l’ingresso nel Sei Nazioni, ci siamo adagiati sugli allori e abbiamo perso la spinta verso l’innovazione tecnica, lo sviluppo culturale e la crescita economica.
Il trasferimento degli italiani all’estero non è certo una tragedia, ma deve farci pensare a quale sia la miglior soluzione per creare un ecosistema dove la scelta di restare sia attrattiva quanto quella di partire. Una sfida che forse abbiamo un po’ sottovaluto e prima o poi si sarebbe posta con tutta questa forza.