Così antipatici, così forti: elogio critico degli Springboks

Il Sudafrica suscita in me un sentimento contrastante di amore e odio. Gli Springboks sono reduci dalla brillante vittoria del Rugby Championship 2024 e possono essere considerati ragionevolmente la squadra migliore degli ultimi 12 mesi. Non saranno perfetti, e le due debacle estive con Irlanda e Argentina lo confermano, ma quando si tratta di giocare una partita con le spalle al muro non hanno eguali al mondo.

Perchè mi stanno antipatici

Ci sono tanti fattori che dalla mia prospettiva contribuiscono a rendere i sudafricani un po’ indigesti. Li vedi dall’esterno e danno sempre un po’ quell’impressione di chi si sfrega le mani e si prepara a schiacciarti come un brufolo. In campo non vanno mai per il sottile, sono ruvidi, talvolta intervengono al limite e in più la loro comunità di tifosi, molto attiva sui social, si dimostra spesso arrogante. Dulcis in fondo, indossano delle giacche di rappresentanza veramente orribili.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da Springboks (@bokrugby)

Probabilmente gli Springboks sono la miglior squadra del panorama internazionale senza il pallone tra le mani. La loro rete difensiva è una vera e propria forma d’attacco, una gabbia da cui non si esce indenni.

Per chi li allena è un valore aggiunto, per gli appassionati del rugby espansivo invece è un dettaglio che non scalda il cuore. Di sicuro è una strategia che porta risultati concreti, anche se a volte concede davvero poco allo spettacolo.

Quando i sudafricani mettono un obiettivo nel mirino cercano di portarlo a termine a tutti i costi, te lo fanno capire da quanto rosicano dopo una sconfitta. E poi c’è Rassie Erasmus, un guru del rugby contemporaneo che per lungo tempo è stato il gran maestro venerabile della polemica. Le sue diatribe con gli arbitri le ricordano tutti, così come la sua capacità di provocare gli avversari con astuti trabocchetti comunicativi.

Gli Springboks sono ossessionati dalla vittoria, non lo nascondono e gran merito di questa mentalità è innescata proprio dal loro allenatore, a conti fatti il vero asso nella manica dei Campioni del Mondo.

Perchè sono così forti

Li guardi e ti sembrano nati per stare in un campo da rugby. Fisici potenti e squadrati, uniti ad un body language che incute un certo timore. Tecnicamente sono inappuntabili e lo si vede dalla conoscenza del regolamento, dal corredo di skills che ogni giocatore possiede in base alle specificità del proprio ruolo.

Fatevi un giro nei campionati studenteschi e vedrete tallonatori che lanciano molto bene, mediani di apertura con una grande padronanza nell’uso del piede, piloni con schiene dritte e forza da vendere.

I sudafricani mi piacciono perchè in un’epoca contrassegnata da numeri, statistiche e game plan intricati, collocano i principi del gioco al primo posto con un paio di dogmi non negoziabili: la mischia e la fisicità, quella vera.

Ogni squadra del mondo, a qualsiasi livello, sa bene che il pacchetto deve lavorare a fondo per garantire i palloni necessari ai trequarti. Il Sudafrica non se lo scorda mai e in virtù di questa legge primaria, mette un’enfasi brutale sulle fasi statiche.

Ingaggiare con loro deve essere una di quelle cattive pratiche posturali sconsigliate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Non si tratta solo di avere giocatori grossi, quelli li hanno in tanti. È una questione di perfezionisti che curano le specifiche nel dettaglio, dagli angoli di spinta, alla respirazione, fino agli sguardi da mostrare agli avversari.

Il secondo elemento riguarda l’uso che fanno della fisicità. Come per la mischia, i sudafricani non sono necessariamente i più massicci del mondo, è che hanno un grande controllo del loro corpo in ogni area del gioco. Questo però non significa che siano piccoli, anzi. Nell’immaginario collettivo il giocatore Bokke corrisponde ad una sorta di Robocop in carne e ossa.

La differenza tra giocatori esuberanti e giocatori forti è tutta qui: impatti secchi, puliti, dove il portatore di palla avanza sempre o mette in condizione i compagni di continuare a farlo. Gli atleti più piccoli come Cheslin Kolbe e Faf De Klerk sono spesso anche i più potenti, se si considera l’esplosività che sprigionano in rapporto alle loro dimensioni di peso e altezza.

I sudafricani mi piacciono anche per l’uso raffinato che fanno della panchina e degli impact player (il famoso 7+1 e la bomb squad, ad esempio), perchè sanno gestire bene i loro veterani e portarli ai grandi appuntamenti in forma smagliante, perchè hanno introdotto concretamente il concetto di ‘utility forward’ e anche perché sanno sconfessare i loro stessi dogmi e proporre giocatori creativi come Sacha Feinberg-Mngomezulu, il nuovo astro nascente della Rainbow nation.

E il futuro?

Dalla conquista della William Webb Ellis Cup, i Boks sono riusciti a vincere otto partite su dieci, perdendo due test match di corto muso contro squadre fortissime.

La risurrezione è opera di quel gran filibustiere di Rassie Erasmus, lo abbiamo già detto. Ricordate la sconfitta con l’Italia nel 2016? L’allenatore li ha presi agonizzanti, in basso nel ranking e riportati sul tetto del mondo, sviluppando un lavoro tecnico, mentale e organizzativo da grande manager.

Dopo la RWC sono entrati in organigramma due specialisti come Tony Brown e Jerry Flannery, entrambi chiamati a portare la squadra ad un livello ulteriore. L’evoluzione offensiva si è vista: durante il Rugby Championship il tabellino ha registrato 24 mete, talvolta frutto di combinazioni fresche e mai banali.

L’unico neo? La carta d’identità di alcuni pilastri come Etzebeth, Le Roux, De Allende, Kolisi, De Klerk.

I ragazzi sono stagionati, ma possiamo comunque stare certi che la scrupolosa road map dello staff sudafricano sarà la chiave per generare una nazionale ancora competitiva negli anni a venire.