I British&Irish Lions nascono ufficialmente alla fine dell’800. Tra gli anni 60 e gli anni 70, icone del rugby internazionale come Phil Bennett, Gareth Edwards e JPR Williams hanno contribuito a scrivere pagine di storia ovale che rimarranno a lungo nel cuore e negli occhi degli appassionati.
L’alone di leggenda che accompagna la selezione delle home unions nasce in quel periodo e, anche in epoca di professionismo, con il rugby che ha progressivamente cambiato prospettive, calendari e interessi economici, i Lions rimangono una squadra che catalizza l’attenzione a livello globale.
Il tour del 2021 (svolto nel 2022) però ha instillato più di qualche dubbio. La pandemia ha imposto che la serie sudafricana venisse giocata a porte chiuse, impedendo ai tifosi di vivere le emozioni del campo.
Ad essere cinici verrebbe da dire che è andata meglio così, perchè lo spettacolo offerto dal team di Warren Gatland è stato abbastanza scarso. Avete capito bene, perché qui si parla di spettacolo nel senso più profondo del termine.
Se gli Springboks hanno ricordato al mondo che la vittoria di corto muso è ancora di gran moda, lo stesso non si può dire dei Lions, a cui è affidato il compito preciso di creare un evento unico, per cui l’attesa sale a fuoco lento di 4 anni in 4 anni.
Al timone ora c’è Andy Farrell, un allenatore che raccoglie la stima unanime del rugby internazionale per come ha saputo portare l’Irlanda ad un livello successivo dopo la reggenza di Joe Schmidt. Insomma, non l’uomo della provvidenza, ma di certo l’uomo giusto al momento giusto.
Our new head coach 🙌
This week was a big milestone as we build up to #Lions2025 🇦🇺
Welcome Andy 🤝 pic.twitter.com/TzqQW3GQsE
— British & Irish Lions (@lionsofficial) January 12, 2024
L’eredità di Gatland e l’importanza della programmazione
Warren Gatland è stato il capo allenatore dei Lions per 3 Tour, dal 2013 al 2021. Troppo tempo. E lo si è visto nell’ultima edizione, quando la paura di perdere ha prevalso sulla voglia di vincere. Troppo Dan Biggar, troppo poco Fin Russell per dirla in poche parole.
Andy Farrell è già stato dentro lo staff dei Lions nel 2013 e nel 2017, conosce bene tutte le difficoltà che richiede assemblare una squadra composta da anime, culture e stili differenti. Da tecnico della difesa, memore anche del suo passato in Rugby League (dalle parti di Wigan bazzicava anche un certo Shaun Edwards), aveva fatto un figurone. Adesso le cose sono destinate a cambiare.
Sir Ian McGeechan, uno che di leadership se ne intende ha parlato così di Andy Farrell: “È un meraviglioso oratore e comunicatore, sa come ottenere il meglio dai giocatori individualmente e collettivamente. Da qualsiasi paese tu provenga e qualunque sia la tua appartenenza, ti fideresti di lui; quello che dice e come lo dice. Non c’è complimento più grande per un allenatore di questo.”
Non sarà più il secondo di nessuno, non dovrà fare i conti con la personalità ingombrante di Gatland e nemmeno con il suo piano di gioco, mai così conservativo come nell’ultima edizione. Per non commettere passi falsi Andy Farrell ha trovato un accordo che gli consentirà di sganciarsi dall’Irlanda a partire dall’1 gennaio 2025 e concentrarsi unicamente sui Lions.
Il coach di questa squadra da sogno infatti è un po’ l’archetipo del selezionatore moderno. Deve conoscere a fondo il materiale umano che costituirà il suo team pur non avendolo a disposizione se non a ridosso del Tour. Ha bisogno di persone intorno su cui c’è massima fiducia, con cui può essere aperto, da cui ottenere anche feedback spiacevoli per non correre il rischio di influenzare le sue scelte sulla base delle convinzioni maturate alla guida della sua nazionale.
La programmazione quindi è fondamentale per creare la giusta chimica e avere successo. I Lions non possono permettersi di andare in Tour senza che l’obiettivo minimo sia quello di insegnare il rugby agli avversari. Con lo scenario mondiale che è radicalmente cambiato negli ultimi 20 anni, perseguire questo scopo è diventato un lavoro difficile, ma anche profondamente stimolante perchè se riesci a fare tutto bene, entri nella hall of fame di questo bizzarro gioco.
L’Australia ai minimi storici, un avversario indecifrabile
Appena un anno fa Eddie Jones entrava in carica come allenatore dei Wallabies. L’obiettivo era chiaro: condurre la squadra alla sfida con i Lions e renderla competitiva in vista della RWC del 2027. Niente da fare, l’ex coach dell’Inghilterra non ha retto il tourbillon di negatività causato dai risultati disastrosi dell’Australia (prima volta fuori dai quarti del mondiale) e alla fine ha lasciato il ruolo del profeta in patria.
Questo passaggio impone alla federazione australiana un nuovo lavoro di recruiting per trovare un allenatore che sia capace di instillare ottimismo e competitività in una terra che ha sempre respirato rugby, ora in profonda crisi. Il nome che circola è quello di Joe Schmidt, il predecessore di Farrell sulla panchina dell’Irlanda.
Se il coach neozelandese sarà il prescelto, avrà circa 15 mesi per sviluppare una squadra capace di non soccombere di fronte alla corazzata britannica, stavolta decisamente favorita. Un particolare non di poco conto, perchè il Tour dei Lions come specificato poco sopra, non può permettersi di essere un semplice trittico di partite da vincere.
Migliaia di tifosi pronti a spendere altrettanta migliaia di sterline non possono venire ignorati. La platea vuole battaglie epiche, narrazioni succulente, personaggi da immortalare. Tutto ciò che i Wallabies in questa fase storica non possono certo garantire.
Il know how rugbistico degli australiani però non è scomparso di colpo, semmai va solo ravvivato con una robusta dose di energia. Un’altra impresa impossibile da rendere possibile in tempi strettissimi.