La seconda giornata del Sei Nazioni 2022 si avvita attorno alla grande attesa per Francia-Irlanda. Una gara dai protagonisti ben collaudati (ci saranno rispettivamente 14 e 12 dei giocatori titolari nelle vittorie contro gli All Blacks di novembre), ma con qualche sorpresa non del tutto attesa.
A Cardiff, per il debutto della seconda giornata, Scozia e Galles mettono in campo formazioni con diversi cambi, così come l’Inghilterra che domenica giocherà a Roma alla ricerca di una prova convincente per scacciare le nubi di polemica addensatesi attorno alla squadra.
Oltre ai volti ben conosciuti, ogni squadra porta in campo qualche novità che merita di essere tenuta d’occhio.
Yoram Moefana, Francia
Futuna, 18 luglio 2000 – 2 caps
Centoquarantadue chilometri quadrati compongono il perimetro di terra emersa totale dell’arcipelago di Wallis e Futuna, ideale angolo di un quadrilatero magico per la palla ovale, che agli altri capi vede Tonga, le Samoa e le Fiji. A differenza di questi ultimi tre stati, tutti indipendenti, Wallis e Futuna sono una delle 5 Collectivités d’outre-mer della Francia, territori sotto la sovranità francese ben distanti dalla madrepatria, retaggio dell’epoca coloniale.
La nazionale francese di rugby ha sfruttato al massimo quei 142 kmq di territorio sparsi per tre isole abitate da non più di 15mila persone: Sebastien Vahaamahina, i fratelli Selevasio e Cristopher Tolofua, la famiglia Taofifenua, Jocelino Suta, Emerick Setiano, Rodrigue Neti, Peato Mauvaka, Raphael Lakafia e suo padre, Yann David sono tutti giocatori nati o originari di Wallis e Futuna o della Nuova Caledonia, dove la popolazione delle due isole è emigrata in massa negli ultimi 50 anni.
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Fra questi c’è anche Yoram Moefana, che a differenza della maggioranza dei nomi fatti, a Futuna ci è proprio nato solamente 21 anni e mezzo fa. Incomincia a giocare a rugby all’Afili Rugby Futuna e nel 2013 viene prelevato da suo zio Tapu Falatea, oggi pilone destro dell’Agen e allora tra le fila del Limoges in Fédérale 1, per seguirlo sul territorio metropolitano francese.
La stagione successiva Falatea si sposta a Colomiers, in ProD2. Moefana lo segue e incomincia a giocare nelle fila delle giovanili del club. Si farà notare per le sue doti e gli verrà offerto un posto nel centro di formazione della società, con la quale esordirà poi a soli 18 anni nel campionato cadetto francese.
“Faceva già la differenza, come una volta in una partita contro Carcassone contro alcuni giocatori già affermati della ProD2” ricorda Fabien Berneau, allora responsabile del centro di formazione del Colomiers.
La sua carriera prende il volo nel 2020, quando, dopo essere passato al Bordeaux-Bègles e aver passato un anno fra gli Espoirs, ottiene 13 presenze in Top 14 segnando 7 mete e parte titolare in 5 gare di Champions Cup.
È una vera e propria esplosione per un giocatore che aveva rappresentato la Francia under 20 al Sei Nazioni di categoria, ma era stato lasciato fuori dalle convocazioni per il World Rugby U20 Championship del 2019 vinto dai Bleuets.
Le ottime prestazioni gli fanno subito conquistare anche la convocazione in nazionale maggiore. Gioca due partite nella Autumn Nations Cup, beneficiando del turnover messo in pratica per necessità da Fabien Galthié in quella circostanza.
Debutta il 28 novembre in Francia-Italia, gioca 19 minuti e poi è subito titolare in Francia-Inghilterra, la finale della competizione, dove gioca tutto l’incontro con la maglia numero 13.
Il suo ruolo preferito però è quello di primo centro, dove giocherà la sua prima partita del Sei Nazioni in una delle gare decisive del Torneo: Francia-Irlanda.
Una delle 7 mete segnate nella stagione 2020/2021 sintetizza nella straordinaria accelerazione esplosiva le qualità salienti di Moefana, che nel frattempo ci ha anche aggiunto capacità di lettura e tecnica individuale, come dimostrato domenica a Parigi quando ha originato la meta di Damian Penaud
Jac Morgan, Galles
Carmarthen, 21 gennaio 2000
Quando sei nato nel cuore del Galles, sulle rive del fiume Towy e nella stessa città di Ken Owens, Rhys Priestland, Stephen Jones, Scott Williams, Gareth Davies, solo per citarne alcuni, il tuo destino è già mezzo segnato. Specie se poi, crescendo, ti ritrovi a coltivare certe passioni, tipo frequentare un rugby club che risponde al nome di Cwmtwrch RFC dalla under 8 alla under 16.
Came for the rugby, stayed for the videos
Jac Morgan il suo destino lo ha abbracciato a piene mani. Capitano del Galles under 20 solamente due anni fa, ha catturato gli occhi di tutti nelle ultime due stagioni giocano per gli Scarlets e gli Ospreys.
È uno di quei giovani che quando vedi giocare capisci subito quanta strada faranno. O almeno, così è stato per Brad Mooar, l’ex allenatore degli Scarlets che dopo il suo debutto per la region ebbe a dire: “Ricordatevi di questo nome perché emergerà sempre di più col passare del tempo. È un prospetto straordinario, sembra che non abbia fatto altro che giocare a rugby per tutta la vita.”
Morgan i nomi tende a ricordarseli. Quando è stata pubblicata la formazione del Galles per la sfida alla Scozia sabato ha telefonato a Bertie Roberts, il suo primo allenatore nel Cwmtwrch: “Ho un biglietto per te per la partita”.
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Il debutto è arrivato dopo 1933 minuti di rugby professionistico, 24 partite da titolare e 4 mete. È un giocatore ancora non arrivato ad essere multidimensionale come Josh Navidi o Taulupe Faletau, ma è molto forte nelle sue tre caratteristiche fondamentali: gran placcatore, gran portatore, gran rubapalloni. Non è poco.
Nello scacchiere di Wayne Pivac per la gara contro la Scozia, Morgan completa una terza composta da Taine Basham e Ross Moriarty, alla disperata ricerca di ball carrier efficaci e giocatori affamati di battaglia fisica, di intensità. Scegliendo Jac Morgan, il tecnico neozelandese è andato sul sicuro: negli ultimi 700 giorni non ha mai deluso.
Joey Carbery, Irlanda
Dargaville, 1 novembre 1995
Se c’è un altro popolo di santi, poeti e navigatori là fuori, certamente sono gli irlandesi. Joey Carbery senior, padre del numero 10, emigrò con i genitori in Nuova Zelanda all’età di due anni dalla piccola cittadina di Athy, nella contea di Kildare.
Stabilitosi a Dargaville, nell’Isola del Nord, si sposò con una donna irlandese, fatalmente anche lei proveniente da Athy. Piccolo il mondo, per ritrovarsi insieme dall’altra parte del mondo essendo partiti dalla stessa cittadina di diecimila abitanti. Fatto sta che Joey sr, Amanda e il giovane Joey jr tornarono in Irlanda quando quest’ultimo aveva circa 11 anni.
Vuole il destino che, dieci anni dopo, l’esordio internazionale del giovane pupillo arrivi a Chicago, contro la Nuova Zelanda, nella partita che permette all’Irlanda di battere per la prima volta nella storia gli All Blacks. A marzo Carbery aveva debuttato a 21 anni con il Leinster, e nel giro di appena otto mesi si ritrovava a battere la squadra più forte del mondo.
Le sue prime partite con la franchigia di Dublino sono da estremo, ma come apertura è chiuso da Johnny Sexton e dalla progressiva crescita dei fratelli Ross e Harry Byrne. Si trasferisce allora, con la spinta aggiuntiva della federazione, al Munster, una mossa pressoché senza precedenti per un giocatore di questo calibro.
Se il 2018/2019 al Thomond Park sarà buono, l’anno successivo cominciano i problemi fisici: alla Rugby World Cup in Giappone si fa male alla caviglia, l’infortunio più grave che lo tormenterà per quasi due anni. Dopo la rassegna iridata giocherà a cavallo di Capodanno con il Munster prima di fermarsi a gennaio del 2020 e rimanere fuori dai giochi fino al febbraio 2021.
Un Carbery d’annata, per ricordarsi cos’era prima di vedere sabato che cos’è diventato
Un periodo duro, dove sembra che Joey Carbery possa anche non ritornare al rugby di alto livello, tanto è danneggiata la sua caviglia. Un periodo per fortuna adesso alle spalle, nonostante un ennesimo infortunio a dicembre che lo ha sostanzialmente tenuto fuori fino al Sei Nazioni 2022.
Sarà interessante vederlo in cabina di pilotaggio del fotonico attacco irlandese, che tante bocche ha spalancato nel corso del primo turno. Non far rimpiangere Sexton è un compito assai arduo, ma se c’è una cosa che Carbery ha sempre dimostrato di avere è una testa incredibilmente fredda. A quasi 26 anni, non è più il raffinato ballerino in grado di influenzare le difese con le sue raffinate movenze, non ha più la grande rapidità che lo contraddistingueva, ma è diventato un gestore del gioco molto maturo ed efficace.
Proprio la sua sagacia tattica lo vede preferito a Jack Carty, che cavalca un momento di forma straordinario a Connacht. Contro la Francia, si prevede un’Irlanda che faccia maggior ricorso al gioco al piede per mettere pressione ai transalpini, piuttosto che darsi al giochismo come a Dublino contro il Galles.
Sarà anche il debutto di Joey Carbery da titolare al Sei Nazioni: un momento che definirà il profilo della sua carriera.
Rory Darge, Scozia
Edimburgo, 23 febbraio 2000
Fino al 24 aprile 2021 Rory Darge aveva giocato un totale di 18 minuti di rugby professionistico, concessigli dalla franchigia della sua città, Edimburgo, al termine di una disastrosa sconfitta contro il Leinster per 50-10 all’inizio della stagione 2020/2021.
D’altronde, pur essendo stato capitano della nazionale under 20, Darge doveva scalare diverse posizioni per riuscire a farsi spazio: a Edimburgo giocano sia Jamie Ritchie che Hamish Watson, i due titolari inamovibili della nazionale; c’è Bill Mata, il numero 8 fijiano che tutta Europa invidia alla squadra della capitale; ma anche solidi profili di livello internazionale come Magnus Bradbury e Nick Haining.
Quindi non rimane altro che fare le valigie e trasferirsi ai Glasgow Warriors ad aprile del 2021, prima dell’inizio della Rainbow Cup.
Nella competizione otterrà le sue prime apparizioni con la nuova maglia, guadagnandosi un posto da titolare che ad oggi non ha più lasciato. In questa stagione Darge è stato la stella dei Warriors: 11 presenze da titolare, una meta e una quantità infinita di palloni recuperati.
Raro esempio moderno di flanker sotto il quintale di peso, Darge è il nuovo esponente della scuola scozzese dei flanker rubapalloni come Watson e Ritchie, che ricorda molto da vicino.
⭐ Rory Darge
⚔️ @GlasgowWarriors
🆚 @dragonsrugby #URC pic.twitter.com/Zct765pdQS— United Rugby Championship (URC) (@URCOfficial) December 8, 2021
Il suo esordio, finalmente, è vicino, anche se non scontato. Sarà in panchina per la Scozia al Millennium Stadium di Cardiff, uno stadio niente male per esordire. In Galles, però, Rory Darge ci ha già vinto con la maglia della nazionale: era il capitano della nazionale under 20 che vinse 17-52 a Colwyn Bay il 13 marzo 2020, contro il Galles di Jac Morgan, poco prima che il torneo venisse cancellato per l’inizio della pandemia.
Harry Randall, Inghilterra
Slough, 18 dicembre 1997
Al Bristol Post, giornale locale della cittadina inglese, ci vedono lungo. Nel 2018 scrissero che Harry Randall era uno dei più entusiasmanti prospetti dell’intero paese. E avevano ragione.
L’Inghilterra, da un po’ di tempo, ha qualche problema con il numero 9. Se entrerà in campo contro l’Italia, Ben Youngs eguaglierà Jason Leonard per il maggior numero di presenze internazionale con la nazionale maschile inglese. Un sintomo di qualità e longevità di una grande giocatore, ma anche dell’incapacità del rugby più ricco del mondo di produrre alternative di qualità.
Harry Randall, al debutto nel Sei Nazioni, giocherà a Roma una gara dove dimostrare di essere finalmente pronto a raccogliere l’eredità di Youngs e diventare un concorrente per la maglia di mediano di mischia.
Randall, nato in Inghilterra ma cresciuto in Galles fino ai diciassette anni, è un esponente della scuola dei mediani di mischia piccoli e geniali, dall’energia cinetica inaffondabile.
In quattro stagioni a Bristol si è affermato come uno dei mediani di mischia inglesi più forti della Premiership, anche se forse con uno stile lontano a quello preferito da Eddie Jones, che per questo gli ha concesso solamente due presenze finora, contro USA e Canada.
Non è un giocatore da gara tattica e impostata su calci nel box e gioco al piede, ma contro l’Italia Randall, con al fianco Marcus Smith, può traghettare l’Inghilterra verso un futuro meno conservatore e tattico, verso un rugby più propositivo e ad alto ritmo.