Lo scorso 4 gennaio Michael Bradley è stato sollevato dal proprio incarico di capo allenatore delle Zebre Rugby Club.
Il suo contratto scade alla fine della stagione, ma il suo esonero gli impedirà di poter arrivare a 5 annate sportive consecutive alla guida della franchigia italiana.
Il finale di questa storia, quella fra Bradley e le Zebre, ha tinte scure. Quelle stesse che ha assunto un rugby italiano intristito, acrimonioso, attorcigliato nella propria mediocrità indistricabile. Un alone di perenne instabilità che ha avvolto spesso e volentieri la franchigia di Parma, fin dalla sua controversa nascita per sostituire i defunti Aironi.
C’è stato però un momento in cui non è stato così, e quel momento corrisponde al primo anno di Michael Bradley alla guida delle Zebre, nella stagione 2017/2018.
Registrato poco prima dell’esonero di Bradley, l’ultimo episodio di Quindici con Filippo Frati ha fotografato le Zebre di oggi in mezzo agli altri argomenti del movimento italiano
Prologo
28 partite giocate, 25 sconfitte.
649 punti fatti, 1104 subiti.
Avvicendamento alla guida della società a metà stagione, dimissioni del capo allenatore a gennaio.
La stagione 2016/2017 delle Zebre è stata uno dei punti più bassi toccati da una franchigia che non ha mai particolarmente brillato per buoni risultati.
Alla fine dell’anno due colonne portanti della franchigia, i sudafricani azzurrati Dries van Schalkwyk e Quintin Geldenhuys, lasciano. Il primo torna in Sudafrica, giocherà nei Southern Kings, il secondo si ritira, e poi torna in Sudafrica anche lui, nella fattoria di famiglia.
Complici degli addii sono le turbolenze economiche nelle quali è inguaiata la società: “una barca lasciata andare alla deriva e ormai destinata ad affondare” scrive La Gazzetta dello Sport a proposito delle Zebre.
A rimpiazzare le componenti private che avrebbero dovuto consentire alla franchigia di vivere con le proprie gambe arriva la Federazione Italiana Rugby, che le affida ad un amministratore unico, Andrea Dalledonne, manager di comprovata abilità ma fino a quel momento lontano dal mondo del rugby.
È il primo tassello di una stabilizzazione lunga e faticosa, ma che intanto permette di infondere un po’ di tranquillità al lato extra-campo. Dal punto di vista tecnico non si può puntare su nomi roboanti, ma l’head coach della Nazionale, Conor O’Shea, consiglia un irlandese emigrato come lui, tale Michael Bradley.
Il suo curriculum è particolare: ha allenato il Connacht, una franchigia di sviluppo come vorrebbero essere le Zebre, ed ha anche altre esperienze che rendono l’immagine di un tecnico che può far crescere giovani atleti di potenziale: a Edimburgo ha raggiunto i migliori risultati di sempre fino a quel momento (semifinale di Champions nel 2012 ancora mai replicata), poi si è occupato della Scozia A e ha vinto contro la seconda nazionale inglese (i Saxons), poi se n’è andato in Georgia per tre anni, a fare l’assistente per i trequarti.
Nel 2017 starà sei mesi a Bucarest, alla guida del CSM, prima di venire reclutato dalle Zebre per la stagione 2017/2018.
Restituire l’entusiasmo
A settembre del 2017 la squadra delle Zebre è fatta di giocatori per lo più italiani, la maggior parte dei quali si stava affermando definitivamente a livello nazionale: Carlo Canna, Marcello Violi, Tommaso Boni, Giulio Bisegni, Andrea Lovotti.
C’è un gruppo di giocatori più esperti ed affermati come Valerio Bernabò, George Biagi, Matteo Pratichetti e Giovanbattista Venditti, che di questi è decisamente il più giovane, ma in quel momento l’ala titolare della nazionale italiana.
La squadra non si è potuta concedere chissà quali acquisti sul mercato. Se in passato si sono visti nomi altisonanti come Brendon Leonard e Luke Burgess, questa volta le scarne casse della società si possono permettere solamente un misconosciuto pilone argentino, Eduardo Bello, un mediano di apertura magrolino, Serafin Bordoli, e un irlandese arrivato per vie traverse, grazie alle conoscenze di Bradley a Galway, Ciaran Gaffney.
In più, sono rimasti in squadra i sudafricani Johan Meyer e Derick Minnie, oltre al centro samoano Faialaga Afamasaga. Tre sfasciacarrozze, nel senso che chiunque finisse col compito di doverli placcare avrebbe seriamente ammaccato la propria carrozzeria.
Dopo un’annata disastrosa sul piano dei risultati e dell’atmosfera come quella precedente, l’arrivo di una guida carismatica come Michael Bradley riporta una ventata di entusiasmo nello spogliatoio. Il piano di gioco che propone l’irlandese è accattivante: nessuno ci prende in considerazione, noi divertiamoci.
Sotto la supervisione del capo preparatore atletico della nazionale Pete Atkinson, le Zebre svolgono una preseason 2017/2018 importante e si presentano al via del campionato tirate a lucido dal punto di vista fisico. Sono giovani, audaci e hanno voglia di stupire, e anche se la stagione inizia con 3 sconfitte consecutive, già contro gli Ospreys al Liberty Stadium si intravede qualcosa di nuovo.
Al 70′, con il risultato già compromesso, le Zebre giocano dai propri 22 metri, rompono la linea con una fuga di Matteo Minozzi sulla sinistra e si buttano in campo aperto con Gaffney. Violi raccoglie l’offload disperato, cede a Boni che serve a Canna l’assist per la prima meta della stagione, marcata con una fuga dalla propria metà campo.
L’intenzione di giocare dal proprio campo della squadra di Bradley si dimostrerà non una mossa fatta in una partita ormai finita, cercando i punti della bandiera, ma una precisa convinzione filosofica sottesa da un approccio quasi zemaniano.
Il primo segnale vero arriva in Sudafrica, dove Cheetahs e Kings, al primo anno in Pro14, giocano un rugby completamente diverso da quello delle squadre celtiche. La partita tra i ghepardi e le zebre vede i padroni di casa vincenti, ma gli ospiti segnano e divertono.
La prima meta è straordinaria: Biagi tiene magicamente in vita un pallone di recupero, Canna è strepitoso nell’aprire la porta a Fabiani, Violi mantiene alto il ritmo e Bisegni arriva all’interno di Castello con grande intraprendenza. Di Giulio fa la differenza poi sull’out di sinistra per trasformare in meta una bellissima azione
Contro i Kings arriva la prima affermazione, complice il fatto che la franchigia del Capo orientale è decisamente la squadra materasso del torneo. Il fatto che però non sia un fuoco di paglia è certificato dalla grande affermazioni della quinta giornata: Zebre battono Ulster 27-23.
È la partita in cui i tifosi italiani realizzano che sta succedendo qualcosa. La partita in cui brillano tre capisaldi della stagione: Carlo Canna, il fulcro della squadra da cui passa tutto il gioco; la frizzante onnipresenza della terza linea Licata-Meyer-Giammarioli, il primo permit player delle Fiamme Oro, il secondo oggetto misterioso fino a quel momento, il terzo approdato per la prima volta a Parma dopo due anni a Calvisano; Matteo Minozzi, appena arrivato a Parma da Calvisano, dove ha segnato 16 mete in 18 partite a 20 anni.
Minozzi è protagonista assoluto sulla meta di Bellini: legge la linea di sostegno per il gigante Meyer, prende in controtempo i carbofanti di Ulster in mezzo al campo e siede Cooney in maniera impressionante. Quindi si porta a spasso l’estremo avversario prima di ritagliare verso l’interno e servire la sua ala.
Dopo l’impresa contro i nordirlandesi arriverà un filotto di 4 sconfitte prima di ritornare alla vittoria, ma che le Zebre siano finalmente qui per competere risulta chiaro anche nelle due partite successive, dove vengono battute da Edimburgo e Cheetahs (di nuovo) entrambe le volte per un solo punto.
Il Licatagate
Le Zebre 2017/2018 sono una squadra piuttosto giovane, e il più giovane di tutti è Giovanni Licata da Agrigento.
Vent’anni tondi, Licata è appena uscito dall’Accademia Nazionale Ivan Francescato. Per gli standard del rugby italiano, soprattutto in questo periodo, non è cosa scontata che un giovane molto promettente compia il salto diretto senza passare da una o due stagioni che dovrebbero essere formative nel massimo campionato nazionale giovanile.
Il suo talento però è per lo meno precoce: nel 2016 al mondiale U20 è stato protagonista della salvezza dell’Italia in un torneo difficile (sconfitte contro Scozia e Georgia), segnando tre mete; nel 2017 è ancora il numero 8 titolare della nazionale giovanile che arriverà a un punto dal settimo posto.
Arriva quindi alle Zebre sull’onda di una parabola di crescita piuttosto verticale. Bradley e lo staff gli danno fiducia: gioca titolare le prime 9 partite della stagione, fra campionato e coppe europee. O’Shea rompe la sua tradizionale prudenza nel cavalcare gli stati di forma dei giocatori e lo fa esordire in nazionale già a novembre: ventidue minuti contro le Fiji a Catania, dove ha giocato prima di trasferirsi a Parma; diciotto contro l’Argentina a Firenze; ottanta da titolare, contro il Sudafrica, a Padova.
Zebre Win Rate in Pro 12/14:
2012/13 – 0%
2013/14 – 22.7%
2014/15 – 13.6%
2015/16 – 13.6%
2016/17 – 13.6%
2017/18 – 33.3%
2018/19 – 14.3%
2019/20 – 20%— RugbyInsideLine (@RugbyInsideLine) September 30, 2020
Improvvisamente, però, questa parabola ascendente si ferma. Non è un infortunio come i tanti che colpiranno la sua ancor giovane carriera negli anni successivi, ma il richiamo alla base delle Fiamme Oro, che riportano a Roma il loro giovane pupillo, troncando così di netto la sua prima stagione sul palcoscenico più prestigioso. Si evidenziano così le storture di un sistema come quello dei permit players che non ha mai davvero funzionato a dovere, lasciando ai club italiani il manico del coltello e la possibilità di lavorare nel loro esclusivo interesse.
Oltretutto, nella squadra della Polizia, Licata non gode di particolare considerazione, anzi. Da dicembre del 2017 a fine anno, giocherà solo una volta da titolare nel massimo campionato italiano, relegato per il resto a un ruolo da comprimario nella quarta forza dell’Eccellenza 2017/2018.
Il finale di stagione
Dopo aver ottenuto 3 vittorie e collezionato alcune buone prestazioni nella prima parte dell’anno, le Zebre 2017/2018 rallentano nei mesi invernali.
Le squadre avversarie hanno bene o male preso le misure, sanno che cosa aspettarsi e sanno che, con un po’ di pazienza, le Zebre commetteranno qualche errore di troppo in zone di campo pericolose, finendo a volte con l’autosabotarsi.
Dopo l’affermazione per 24-10 contro il Connacht del 2 dicembre, la squadra di Bradley perde entrambi i derby natalizi con il Benetton e viene schiaffeggiata dolorosamente dai Glasgow Warriors, che si impongono 40-20 a Parma, che dal Munster, che fa valere la legge del Thomond Park imponendo un chiaro 33-5.
Si deve aspettare la trasferta a Galway per il colpaccio: è il 16 febbraio 2018 e le Zebre centrano la loro prima vittoria in Irlanda di sempre. In campo ci sono tutti e tre gli arrivi del mercato di riparazione: il pilone australiano Cruze Ah Nau, il seconda linea neozelandese James Tucker e l’ala irlandese Rory Parata.
È la partita del grave infortunio al collo di Ciaran Gaffney, che lo costringerà al triste e prematuro ritiro dalle scene.
La partita sonnecchia un po’ nel primo quarto, ma la sveglia Gabriele di Giulio, capace di rompere due placcaggi con una corsa arcuata e servire poi Giammarioli per la meta in mezzo ai pali. È lo stesso trequarti frascatano a finalizzare una bella azione in pieno stile Zebre poco dopo, ma il TMO nega la meta con una decisione discutibile.
Si va nel secondo tempo con i ducali avanti di un punto, ma con l’immediata voglia di segnare ancora, e ancora nel segno di di Giulio, che stavolta può volare sereno alla bandierina, servito da Bordoli dopo che la difesa si era stretta per affrontare la classica carica di Carlo Canna con tre giocatori a sostegno.
A chiudere i conti è la gloriosa corsa di Andrea de Marchi dopo che George Biagi stoppa un calcio dal box: le Zebre vanno sopra di 11, e nemmeno la doppia inferiorità numerica finale (giallo a Mbanda e Parata) può togliere loro la soddisfazione di alzare le braccia allo Sportsground.
Sembrano passate ere geologiche e non solamente 4 stagioni da quando il Pro14 era questa cosa qui. Quanta acqua sia passata sotto i ponti è testimoniato anche dal gioco: per quanto possano essere bravi, belli e in forma, i giocatori delle Zebre non avrebbero oggi la possibilità di giocare questo rugby con le difese del 2021/2022. Guardate quanto tempo viene lasciato ai giocatori con la palla in mano per decidere la scelta migliore da prendere
Il finale di stagione è festoso: le Zebre sanno di aver già migliorato il risultato della stagione precedente, sanno di aver dimostrato di meritare la categoria mettendo i bastoni tra le ruote a tante squadre. Queste certezze generano fiducia, le vittorie alimentano la fame di vittorie. E quando arriva la primavera tutto diventa più sorridente: ad aprile gli Ospreys vengono maltrattati a Parma 37-14 con tripletta di Mattia Bellini, i Dragons cadono 34-32 e nell’ultima partita della stagione si batte finalmente anche il Benetton nel terzo derby.
A Monigo le luci della ribalta sono per Marcello Violi, che si incarica di piazzare i due calci decisivi per la vittoria. Importante anche il placcaggio finale di Bisegni, in clamoroso fuorigioco non sanzionato dall’arbitro
Epilogo, più o meno
Gli anni successivi delle Zebre di Michael Bradley non saranno altrettanto positivi. Mentre il Pro14 si fa via via sempre più competitivo, con la progressiva crescita di squadre come Dragons e Connacht, le Zebre si incagliano. Il loro gioco perde di efficacia e lo staff non riesce a trovare un’evoluzione altrettanto efficace, soprattutto in chiave offensiva.
C’è comunque spazio per qualche soddisfazione, come la vittoria contro i Bristol Bears in Challenge Cup. Le Zebre sembrano pagare soprattutto il dazio del gap economico che le separa dai competitors. Nel 2018/2019 arrivano 6 vittorie tra campionato e coppe su 27 partite giocate, nel 2019/2020 saranno 5 in 21 gare.
Oggi sono una squadra completamente diversa sia per identità tecnica, ora basata soprattutto su un sistema difensivo ben definito, che per rosa, rinnovata dall’arrivo di tanti giovani. Rispetto alle Zebre 2017/2018 non c’è più Tommaso Castello, recentemente costretto al ritiro dopo l’infortunio del 2019; Gabriele di Giulio è tartassato dagli infortuni e ha giocato appena 10 partite negli ultimi 3 anni; Matteo Minozzi ha preso la strada della Premiership, il gruppo dei più anziani ha appeso le scarpe al chiodo (Chistolini, De Marchi, D’Apice, Biagi, Bernabò, Pratichetti, Venditti), il gruppo degli attuali senatori (Palazzani, Violi, Fabiani, Canna, Boni, Bisegni, Bellini) non ha più ritrovato la brillantezza di quella stagione.
La stagione scorsa è stata forse la migliore degli ultimi anni. Con lo staff rinfrescato dall’arrivo di Fabio Roselli e Andrea Moretti, le Zebre hanno centrato 5 vittorie e 1 pareggio in 18 partite fra Pro14 e Challenge Cup, pur dovendo fare a meno dei giocatori internazionali per larga parte della stagione.
Il premio di coach of the year a Michael Bradley è stato proprio un riconoscimento della capacità dello staff tecnico di fare le nozze con i fichi secchi, senza girarci tanto intorno.
Peccato che una nuova fase di instabilità abbia travolto le fondamenta di quel lavoro.