L’Argentina al bivio

È stata soltanto una crisi passeggera?

Non è passato neanche un anno da quel 14 novembre 2020 che rimarrà per sempre inciso sui libri di storia del rugby, in Argentina e non solo: la prima volta in cui i Pumas hanno battuto gli All Blacks, con una partita superlativa, che ha fatto gridare a tutti alla santificazione degli interpreti di quell’incontro.

Quei protagonisti sono praticamente tutti presenti anche 350 giorni dopo o giù di lì, mentre Mario Ledesma mette a punto gli ultimi dettagli tattici per quello che lui stesso ha definito un partidazo: l’Argentina sfida la Francia di Fabien Galthié allo Stade de France nel primo fine settimana di novembre, il mese dei test match.

Una partita che inaugura un tris di gare (Francia, Italia e Irlanda) destinato a farci capire davvero che animale è questo albiceleste.

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Equivoci sulla natura dei Pumas ci sono sempre stati: lo stesso soprannome è frutto di un errore, dal momento che sulle maglie della Union Argentina de Rugby ci sta un giaguaro e non un puma. Oggi il dubbio è se la squadra argentina sia entrata in una spirale critica che può essere risolta solamente da qualche terremoto o se i brutti risultati e le brutte prestazioni del Rugby Championship 2021 sono frutto solo di una contingenza che ha visto la squadra sudamericana arrivare al torneo con tante assenze, che ne hanno anche inficiato poi la tenuta mentale.

Con 60 punti fatti e 195 subiti, l’edizione 2021 del Rugby Championship dell’Argentina è la peggiore di sempre in termini offensivi e la seconda nella quale la squadra ha terminato con 0 punti (l’altra volta accadde nel 2017).

Il gruppo a disposizione di Ledesma ha giocatori di notevole livello e alcune nuove leve sulle quali puntare con fiducia, su tutti il pilone del Benetton Thomas Gallo, il centro Santiago Chocobares del Tolosa, il terza linea Joaquin Oviedo del Perpignan, tutti under 23.

Tuttavia la coperta della squadra argentina sembra essersi fatta più corta anno dopo anno e la diaspora seguita alla pandemia, con la fuga all’estero di decine di giocatori in cerca di contratti professionistici che in patria non avrebbero trovato, ha solo accelerato una situazione che già si stava profilando: il ricambio generazionale latita.

Nicolas Sanchez ha 33 anni e continua ad essere il miglior mediano di apertura argentino nonostante una netta flessione delle sue prestazioni da qualche anno a questa parte. Dietro di lui Joaquin Diaz Bonilla non è mai riuscito a consolidarsi e Domingo Miotti, 25 anni, è misteriosamente ritenuto non al livello di ottenere una chance. Pato Fernandez non è mai stato preso in considerazione, Benjamin Urdapilleta ha scritto 1986 sulla carta d’identità.

Insomma: fra giocatori persi per strada, talenti negletti e carenza d’alternative, la prima scelta a numero 10 è ricaduta su Santiago Carreras, che finora se l’è cavata fin troppo bene per uno che non giocava in cabina di regia dai tempi delle giovanili.

Il ruolo di apertura è solo emblematico di alcune falle evidenti nella rosa della nazionale argentina. Dopo il lungo regno in coabitazione di Martin Landajo e Tomas Cubelli con la maglia numero 9, né Gonzalo Bertranou né Gonzalo Garcia sembrano profili in grado di raggiungere le vette dei predecessori.

Alla guida di questa imbarcazione da un lato scintillante e dell’altro precaria, Mario Ledesma è un head coach a tratti enigmatico, testardo, il cui filo logico nelle scelte della rosa è spesso poco chiara se vista da fuori. Un allenatore tendenzialmente restio al cambiamento, non sempre in grado di tenere totalmente in pugno la situazione: quando riesce ad allineare le proprie idee e la propria mentalità con quelle del gruppo, la combinazione diventa talmente potente da rendere l’Argentina una delle migliori squadre al mondo; quando però le due cose non collimano, la formazione latinoamericana rischia di sembrare un’accozzaglia sgangherata.

A due anni dalla coppa del mondo, nel momento in cui le formazioni più ambiziose serrano i ranghi per orientarsi verso l’evento iridato, l’Argentina deve imboccare in questo novembre una strada per evitare un’aurea mediocritas che la porti a replicare il deludente mondiale giapponese: dimostrare di essere all’altezza delle migliori squadre dell’emisfero nord o puntare dritta verso una piccola rivoluzione.