10 trame da seguire nella stagione 2021/2022

Le storie più interessanti dell'anno sportivo appena incominciato

Il nostro amato ProD2 e l’altrettanto caro Top 14 hanno già aperto i battenti. Premiership, United Rugby Championship, Top10, Super Cup e tutto il resto lo faranno nel corso delle prossime settimane.

La verità è che è solo una tramontata convenzione sociale il fatto che l’anno inizi a gennaio, perché quel senso di nuovo, di rinnovato, di ingranaggi che si muovono per dare il via a un grande movimento, beh: quello è ormai settembre.

Il ritorno sui desktop e sugli schermi da 5 pollici di Ohvale non può che essere preceduto da una grande introduzione ai temi e alle storie che animeranno la stagione 2021/2022, senza troppa pretesa di essere esaustivi: le storie migliori sono quelle che nascono spontaneamente, durante un’annata che si preannuncia di grande ripartenza, sperando che non sia un sogno destinato di nuovo a scontrarsi con la solida realtà.

La prima edizione dello United Rugby Championship

Il rugby è uno sport antico, eppure giovanissimo. Si rimescola, si rovescia e si sconquassa ad ogni piè sospinto, pur curando con grazia tradizioni vecchie di decenni, quando non di un secolo e passa. Quella che sembrava una strana distopia è divenuta passo dopo passo realtà, e adesso capiremo se si tratta effettivamente di un presente desiderabile o meno: le quattro franchigie sudafricane del Super Rugby entrano a far parte dell’ex Pro14, nasce lo United Rugby Championship.
Una bella rivoluzione per un mondo una volta spaccato in due fra emisfero boreale e australe.
Sarà interessante capire se le quattro franchigie saranno competitive da subito. Nel Pro14 che fu i Cheetahs hanno avuto buone stagioni in cui hanno dimostrato di poter competere per i playoff, ma le squadre che arrivano sono tendenzialmente più quadrate della franchigia del Free State.
Bulls e Sharks possono lottare per diventare subito squadre importanti, Stormers e, soprattutto, Lions potrebbero avere lunghi momenti difficili. A mettere ulteriormente i bastoni fra le ruote delle sudafricane ci pensa uno svolgimento della stagione ancora influenzato dalla pandemia. Ma non aspettiamoci un avvio col botto: i signori sono qui per restare, entrare nel prezioso giro delle coppe europee, non c’è fretta di avere tutto e subito.

L’Italia di Kieran Crowley

Il prossimo autunno l’Italia tornerà in campo. Sembra passato un millennio dall’ultimo Sei Nazioni, eppure sono appena sei mesi che non vediamo gli Azzurri in campo. A novembre inizia un nuovo ciclo, con un nuovo allenatore, un nuovo staff e una nuova struttura tecnica federale dopo il grande repulisti operato dalla nuova presidenza.
Kieran Crowley è chiamato a ridare soprattutto orgoglio a una squadra ferita. Il coach che portato il Benetton ai playoff di Pro14 e alla vittoria della Rainbow Cup non è un uomo dei miracoli, ma una persona concreta e pratica, il cui approccio tecnico alla nazionale italiana sarà tutto da scoprire.
Al Benetton, ha improntato un gioco semplice, ruvido e molto intenso, nel quale però erano cruciali le abilità di alcuni giocatori che con l’Italia non avrà (almeno per il momento) a disposizione.

Il ritorno di Michele Campagnaro

Il capello accorciato, la barba leggermente ingrigita. Il ritorno di Michele Campagnaro sul campo con la maglia numero 22 di Colomiers, dove milita anche Edoardo Gori, ha dato l’impressione che ne sia passata di acqua sotto i ponti, ma anche addosso al centro italiano. Invece sono solo 28 gli anni di età di un talento esploso presto, ma che nelle ultime stagioni ha pagato un notevole dazio fisico. Però poi l’emozione è stata grande nel vederlo gettarsi addosso a qualsiasi cosa si muovesse sul campo, accumulare placcaggi nella serrata difesa di un risultato importante come la vittoria contro Oyonnax.
Una delle storie della stagione sarà la sua: come e quanto tornerà, che giocatore sarà, quali prospettive di vita sportiva e non saprà darsi. In bocca al lupo, naturalmente.

I tre moschettieri 

Le prime due giornate del Top 14 2021/2022 già sono in archivio ma nessuno dei tre Azzurri (Paolo Garbisi, Federico Mori, Pietro Ceccarelli) impegnati nel massimo campionato francese è sceso in campo. Solo Sergio Parisse continua a tirare la carretta rossonera del Tolone, il d’Artagnan della compagnia italica nel torneo d’Oltralpe.
I fari sono puntati sui due giovani, entrambi classe 2000, per capire quale potrà essere il loro coinvolgimento nel miglior campionato del mondo.
Paolo Garbisi, che ha saltato la prima giornata per un leggero infortunio, dovrebbe avere la strada sufficientemente spianata in questi primi mesi a Montpellier: Handré Pollard è in Australia con gli Springboks per giocare il Rugby Championship, e Philippe Saint-André non sembra avere molta fiducia nell’altro giovanissimo mediano d’apertura in rosa, Louis Foursans-Bourdette, al quale ha preferito addirittura un mediano di mischia come Benoit Paillaugue per la sfida al Tolone.
Federico Mori è un’incognita più grossa. I mezzi fisici e atletici del giocatore sono certamente d’eccellenza, ma la sua carriera non è ancora pienamente esplosa come quella del suo ex compagno di nazionale giovanile: pur essendo nel giro della nazionale, Mori non si era finora preso un posto da prima scelta nelle Zebre, e va a giocare in un club prestigioso, con tante ambizioni e diversi giocatori di qualità nel suo ruolo. Dovrà dimostrare di saper crescere anche se il minutaggio sarà scarso.
Pietro Ceccarelli, invece, è una solida realtà a Brive. L’anno scorso il suo apporto è stato importante per centrare l’obiettivo salvezza. Un risultato che i bianconeri cercheranno di ripetere, con difficoltà forse ancora più elevate, in questa stagione.

Cheslin Kolbe = Leo Messi

Non succede spesso, nel rugby, che un giocatore effettui un trasferimento da una squadra all’altra quando il suo contratto è ancora in vigore, come invece succede ad ogni sessione di mercato nel calcio. Di solito, quando succede, c’entrano i sudafricani. Era già accaduto, ad esempio, per Johan Goosen, l’estremo strappato a caro prezzo dal Racing 92.
Stavolta il pezzo pregiato è Cheslin Kolbe, forse il più letale attaccante del pianeta, forse il miglior trequarti ala oggi sul globo terracqueo.
Se lo aggiudica il Tolone pagando circa un milione e ottocentomila euro al Tolosa, e un altro milioncino di ingaggio al giocatore. Cifre che nello United Rugby Championship fanno girare la testa, parliamo di circa un quarto del budget annuale del Benetton, per esempio.
Kolbe è stato paragonato a Messi per la sua vena realizzativa, per la capacità di essere decisivo in fase offensiva indipendentemente dall’apporto dei compagni, tanto da valere uno sforzo economico di queste proporzioni. Vedremo se la squadra di Sergio Parisse, di Louis Carbonel, di Baptiste Serin e tanti altri saprà riuscire a capitalizzare un investimento del genere.

Le squadre isolane nel nuovo Super Rugby

Quando lo scorso anno il Super Rugby Aotearoa e poi il suo omologo australiano hanno infranto il forzato immobilismo dello sport, tornando per primi in campo dopo la pausa forzata della pandemia, è stata un’emozione grandissima anche dall’altra parte del mondo, ed è stato un torneo bello, emozionante, che ci ha coinvolto nonostante qui nello Stivale si sia agli antipodi della terra della lunga nuvola bianca.
Però adesso aveva già iniziato a stufare questa formula autarchica.
La nuova botta di adrenalina arriva spostandosi nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico: Fijian Drua e Moana Pasifika saranno le due franchigie che si aggiungeranno a quelle australiane e neozelandesi per dar vita al Super Rugby Pacific, dando finalmente una bella botta di linfa vitale al rugby isolano.
Una scelta piuttosto parziale, se vogliamo, quella di World Rugby, che si è impegnata a sostenere lo sforzo economico delle due franchigie, una figiana e l’altra tongano-samoana, con investimenti piuttosto importanti. Se da una parte è giusto tutelare un patrimonio culturale e peculiare del rugby come quello dei movimenti rugbistici delle isole del Pacifico, allo stesso tempo non c’è una vera e propria ragione per cui preferirli ad altri altrettanto bisognosi di iniezioni economiche, come ad esempio il rugby rumeno, georgiano, tedesco.
Sperando che riescano subito a conquistare un certo grado di competitività contro un’opposizione di altissimo livello, i Fijian Drua e i Moana Pasifika saranno sotto la lente d’ingrandimento a partire dal febbraio del 2022.

 

Allan l’Arlecchino

La misura dello scorrere del tempo è soggettiva e particolare. Se pensiamo a Tommaso Allan, la prima impressione è che abbia passato, se non una vita, una carriera al Benetton. La verità invece è che ci ha passato 5 stagioni, un lustro importante in cui è passato dall’essere una giovane promessa a essere il numero 10 titolare della franchigia di maggior successo in Italia e l’apertura della nazionale. Nonché un leader del Benetton in queste ultime stagioni: i più attenti ricorderanno che fu lui, insieme a Seb Negri, a prendere la parola nel cerchio dei giocatori alla fine della partita fra Benetton e Montpellier di Challenge Cup, per spronare la squadra a portare quanto di buono visto contro i francesi in Rainbow Cup.
A 28 anni, Allan cambia squadra per alzare l’asticella della propria personale sfida sportiva e va a vivere il proprio prime al livello più alto possibile, quello degli Harlequins e del campionato inglese. Si allenerà, si contenderà il posto e si confronterà con uno dei talenti più deflagranti del pianeta ovale, Marcus Smith, ma avrà certamente l’opportunità di mettere insieme diversi minuti: i londinesi lo hanno voluto per farne qualcosa in più di un backup di lusso, consapevoli che Smith non potrà giocare ogni singolo minuto come fatto nelle ultime due stagioni.
Per lui una sfida importante, che potrà restituire un giocatore rispolverato e brillante, pronto a dare il proprio cruciale contributo alla causa azzurra.

Finalmente novembre!

Sono passati secoli da quando si è giocata una normale finestra internazionale. Quella autunnale, poi, è stata sempre e per tradizione quella più seguita, di più alto livello, più attesa. E finalmente è pronta a tornare, con la speranza che si possa nuovamente prendere posto sugli spalti e colorare gli stadi di mezza Europa con tutta la voglia di far festa rimasta in cantiere per un anno e mezzo.
I Wallabies gireranno la Gran Bretagna sfidando Galles, Scozia e Inghilterra per misurare la forza della loro rinascita; la Nuova Zelanda partirà con un paio di sfide più semplici contro USA e Italia per poi finire in crescendo contro l’Irlanda e una attesissima sfida contro la Francia che promette fuochi d’artificio; gli Springboks campioni del mondo hanno lo stesso programma degli australiani, ma che culmina nella riedizione della finale mondiale a distanza di due anni.
Solo a parlarne, la salivazione è aumentata esponenzialmente.

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Il rugby di base di nuovo in campo

Chissà chi sei, chissà che sarai, chissà che sarà di noi intonano insieme a Lucio Battisti tutti i rugbisti amatori d’Italia, dalla serie A alle under, passando per tutte le categorie in mezzo.
Se tutto va come deve andare, però, entro il prossimo 17 ottobre tutte le squadre del rugby italiano al di sotto dell’alto livello rappresentato dal Top10 e dalle franchigie torneranno in campo.
Le incognite sono tante, ma l’agognato ritorno del rugby di base permetterà finalmente a migliaia di donne, uomini, bambini e bambine, adolescenti di ritornare a calcare i campi e a dare veramente un afflato vitale a un movimento che, come in tanti altri sport o settori della vita reale, è rimasto fondamentalmente paralizzato per più di un anno e mezzo.

L’ultimo anno di vita delle accademie (o forse no…)

L’Accademia Nazionale Ivan Francescato chiuderà i propri battenti alla fine della stagione sportiva 2021/2022, e lo stesso destino è stato prescritto ai quattro Centri di Formazione che accolgono gli atleti under 18 a Treviso, Milano, Prato e Roma.
Una decisione della Federazione Italiana Rugby che ha diviso le opinioni di appassionati e addetti ai lavori: da una parte chi lamenta gli scarsi risultati ottenuti in 15 anni di storia di accademia e accademie, dall’altra chi invece dà lustro a quanto fatto vedere dalle nazionali giovanili azzurre nell’ultimo lustro.
Qualunque sia la posizione all’interno del dibattito, la storia da seguire qui è quella di un movimento che deve reinventare il modo in cui forma e costruisce i propri giovani talenti, in un contesto all’interno del quale non c’è tempo da perdere, perché il piano superiore ha un disperato bisogno di un afflusso continuo e qualitativo di volti nuovi che riescano in maniera diretta o indiretta ad alzare il livello dell’alto livello, si perdoni la ripetizione.
La FIR ha una stagione per farci capire di più del proprio piano di empowering dei club, per presentare un quadro che riesca quantomeno a mantenere lo stesso livello raggiunto con anni di fine tuning dal sistema composto da centri di formazione e Accademia. E chissà che alla fine, almeno su qualche aspetto, non si decida di tornare sui propri passi.