Everybody’s Game è il titolo di un documentario di Amazon Prime Video prodotto e girato dal pilone ventiseienne del Bath e della nazionale inglese Beno Obano.
Il film ha una durata di 53 minuti e oltre al già citato Obano, presente nel duplice ruolo di attore/regista, vede coinvolti anche altri giocatori professionisti come Maro Itoje, Anthony Watson, Ellis Genge e Biyi Alo.
Rugby per tutti: è davvero così?
Fermandosi al titolo ci si potrebbe illudere che il senso della pellicola stia tutto lì. Dunque, l’ennesimo polpettone apologetico che poggia sulla triade arcinota del rugby: valori, fango e sudore.
Allora facciamo subito un brutale atto di spoileraggio: no, il film di Obano è interessante perché parla di rugby senza cadere a capofitto nel pentolone della retorica.
Everybody’s Game prima di tutto è un bel prodotto mediale perché coinvolge lo spettatore e combina molto bene l’arte del racconto con l’efficacia delle immagini. Un vero documentario 2.0 che potrebbe fare da apripista ad un genere ‘backstage’ dal taglio vagamente pop. Insomma un approccio a cui il rugby non è abituato.
Poi ci sono le testimonianze dirette, che essendo prive di moralismo spicciolo non vanno a scomodare concetti biblici come etica, rispetto, uguaglianza, ma riempiono il teleschermo con i percorsi sportivi e umani di 5 ragazzi ambiziosi, figli di quel Melting Pot di matrice anglosassone non sempre portatore di facili opportunità per chi ha la pelle nera.
Un docufilm da vedere per tante ragioni
In epoca di contenuti mordi e fuggi, di monarchia del like, e soprattutto di scoop ovali poco edificanti, fa piacere constatare che il documentario discute con la necessaria lunghezza e sobrietà le percezioni di razza e di classe all’interno del nostro amato sport. E se possibile va oltre, lanciando un monito su come il rugby potrebbe e dovrebbe essere aperto a tutti (cosa che di fatto non è) in quella che è un’analisi franca, onesta e a tratti anche toccante del contesto sociale in cui vivono questi ragazzi.
Good Fellas
Infine ci sono loro, i giocatori, che con estrema naturalezza spiegano gli anfratti del professionismo. Ci mettono la faccia, gli orecchini e i vestiti alla moda, ma anche le proprie passioni, la propria sensibilità e notificano il cambio di paradigma tanto estetico quanto comportamentale del rugby contemporaneo. Niente toni epici, niente fiabe mitologiche, solo la genuinità di Ellis Genge che racconta a modo suo, da ragazzo di periferia, quanto ha fatto incazzare la RFU quella volta in cui rispose alla BBC sorseggiando una birra dopo aver vinto la Calcutta Cup.
C’è di che esserne incuriositi. Per questo (e anche perché Amazon non ci paga per parlare bene di lui) non andiamo oltre e vi auguriamo buona visione.