Giochismo ovale

L'assillante necessità di fare spettacolo entra con prepotenza anche nel mondo del rugby

Per tutta la settimana che ha separato Inghilterra e Francia dal trovarsi di fronte sul prato di Twickenham nella finale della Autumn Nations Cup 2020, la stampa (soprattutto inglese) di settore non ha fatto che altro che lamentarsi di un torneo oggettivamente dominato da due grandi temi: difese d’acciaio e gioco con i piedi.

In un torneo che non è stato particolarmente divertente, all’interno del quale forse rimarranno solo un paio di partite nella memoria storica degli spettatori, è arrivato forte il grido di chi si aspettava di più in termini di spettacolo, dopo tutti questi mesi di assenza del rugby internazionale.

Figuriamoci dopo la finale della prima, e probabilmente unica, edizione della nuova competizione, durante la quale l’Inghilterra ha costantemente usato il piede nella propria metà campo, senza mai prendersi un rischio, neanche quando sembrava oramai obbligata a farlo. E nonostante anche la stessa Francia, l’Irlanda e l’Italia abbiano intrapreso simili piani di gioco, è stato proprio sulla squadra che ha vinto tutto che si sono addensate la maggior parte delle critiche per la mancanza di voglia di osare.

Il tutto è culminato nella domanda di un giornalista britannico in coda alla conferenza stampa di Eddie Jones e Owen Farrell successiva alla finale di domenica: “La sua squadra ha il dovere solo di vincere o deve anche dare spettacolo?”

Un annoso dibattito che siamo ciclicamente abituati a sorbirsi i tifosi di altri sport, specialmente calciofili. Era più o meno un anno fa che l’Italia del pallone rotondo s’era divisa in schiere di difensori dei risultatisti o dei giochisti, indicando con questi neologismi bruttarelli la maggiore o minor propensione di un allenatore a puntare a ottenere la vittoria.

Nel rugby la questione è sempre stata dibattuta sotto un altro taglio: per sopravvivere il rugby, uno sport tutto sommato minore anche in scala mondiale e non solo nel nostro paese, ha bisogno di spettatori, in numero per di più sempre crescente. Allargare il bacino di interessati è una delle priorità di World Rugby già da tempo, e allora tutto quello che non è spettacolo, non intrattiene anche il neofita, non è bello da vedere deve essere tagliato fuori dalla palla ovale.

Che le esigenze di spettacolo vengano dall’opinione pubblica è invece una variante inattesa e forse inedita, alla quale il tecnico dell’Inghilterra ha regalato una risposta tanto piccata, quanto efficace: “E’ ovvio: siamo qui per vincere. Se non vinciamo, non alleniamo. Lo sanno tutti, quindi possiamo essere piuttosto franchi in proposito: qualche volta non si può giocare un bel rugby. Se avessimo giocato la palla da ogni parte del campo e avessimo preso 30 turnovers perdendo 30-15, mi avreste chiesto: perché non abbiamo calciato di più?”



“Certo che ci piacerebbe giocare di più con la palla in mano – ha proseguito Jones – ma non se questo non ci porterà a vincere le partite. Posso solo dire che penso siate totalmente irrispettosi nei confronti dei giocatori nel modo in cui criticate il loro rugby?”

“Il gioco si evolve attraverso dei cicli e le interpretazioni del regolamento hanno certamente una valore in questo. Stiamo solamente affrontando uno di questi cicli, non ne avete mai visti prima? Trovo tutto questo discorso un po’ infantile, mi dispiace.”

Cicli: un’eterna lotta che somiglia al detto fatta la legge, trovato l’inganno. La supremazia della difesa sull’attacco è un risultato che viene raggiunto occasionalmente, per poi ricominciare la rincorsa dopo la nuova evoluzione tecnica, tattica o regolamentare. Ha ragione Jones: tutto questo si è già visto, è un continuo alternarsi.

Pensate ad esempio alla Rugby World Cup 2007, che con quella del 2019 ha in comune il vincitore ma non il tipo di rugby giocato. Sudafrica e Inghilterra furono le finaliste anche di quella occasione, arrivando fino in fondo con un rugby non certo entusiasmante, propositivo, fantasioso: ci arrivarono con quello che veniva richiesto in quel momento.

Ammesso che sia poi così brutta una partita come quella che l’Inghilterra ha offerto, ad esempio, contro l’Irlanda, questa congiuntura storica richiede questo tipo di rugby: se da una parte le difese si sono fatte sempre più soffocanti, sempre più forti, c’è anche stata poca possibilità per gli staff tecnici e i giocatori di studiare strategie offensive vincenti a causa dei lunghi mesi di pausa forzata e della poca preparazione con cui si è arrivati a questa Autumn Nations Cup.



Brutto spettacolo questo rugby?

Gli allenatori e i loro collaboratori sono assunti per vincere le partite, è quello che conta, e se questo oggi significa non prendersi rischi nella propria metà campo per il pericolo di ricevere un calcio di punizione contro e calciare lungo per guadagnare terreno, questo è quello che vedremo.

Il contrasto fra giochismo risultatismo è stupido: non esiste una squadra che intenzionalmente gioca brutto e attraverso il brutto arriva al risultato. Nessun allenatore imposta il proprio piano di gioco in nome dello spettacolo, ma seguendo la filosofia che può farlo arrivare a vincere la partita. E noi, da spettatori, dovremmo assumerci la responsabilità di decidere che cos’è il bello nel rugby, qual è lo spettacolo che vogliamo vedere: se l’efficacia è un buon metro di misurazione della compiutezza di una squadra, l’Inghilterra vista contro la Francia è stata una squadra tremendamente efficace dal punto di vista del piano di gioco.



Non ricordo particolari lamentele in questo caso

Ci sono stati tantissimi errori tattici, tecnici, inerenti il momento presente, ma la pianificazione strategica ha portato l’Inghilterra alla vittoria. Perché senza calciare (e calciare bene) tutto quello che hanno messo in cielo a Twickenham, non avrebbero avuto quelle percentuali opprimenti di possesso e territorio, ragioni delle tante possibilità di ribaltare il risultato.

Quelle lamentele della stampa inglese finiscono per chiudere un cerchio, al cui principio sta ancora Eddie Jones, nei panni esattamente opposti a quelli che veste oggi: Rugby World Cup 2003, l’Australia prima della finale all’Inghilterra tutta piede di Wilkinson dice “siete noiosi” attraverso il suo capo allenatore. La fine di quella storia la ricordiamo tutti, e anche il suonatore Jones deve averla ben impressa nella testa.