I rumors si fanno insistenti e sono chiari. Il rugby professionistico sudafricano è pronto a spostarsi verso l’Europa.
E questa potrebbe non essere una buona notizia. Almeno per gli All Blacks.
Facciamo ordine. World rugby ha teorizzato una sorta di torneo delle “8 nazioni” , composto dalle unions del Six Nations e arricchito dalla partecipazione di Fiji e Giappone. Questo nuovo format è uscito dal cilindro del post covid e andrebbe a sostituire i test match di novembre, regalando agli appassionati un torneo autunnale dal calendario molto fitto e dai contenuti tecnici rinnovati.
I nipponici però rischiano di dare forfait a causa della intricata situazione logistica e sanitaria che separa il proprio paese dall’Europa. Così, in questo scenario stravolto, si aprirebbero le porte per l’ingresso dei campioni del mondo del Sudafrica.
Bernard Laporte dalla poltronissima di vice Presidente di World Rugby, tra il serio e il faceto, racconta di trattative ben avviate.
Mettiamo che la boutade sia vera, che ne sarebbe del Rugby Championship? Una edizione 2020 giocata fra novembre e dicembre di certo non vedrebbe gli Springboks ai nastri di partenza. Notizia bomba. Se confermata.
Una indiscrezione stuzzicante che fa il paio con i dubbi sulla qualità complessiva del Super Rugby pre covid. Incertezze che nascono dal successo delle due competizioni nazionali appena sfornate da Nuova Zelanda e Australia. I tornei interni, denominati Super Rugby AU e Super Rugby Aotearoa, hanno evidenziato al mondo ovale che in caso di difficoltà logistiche, una competizione snella e totalmente interna, è comunque in grado di riportare interesse e validi spunti tecnici anche senza varcare i confini nazionali. Una forma di lieve autarchia che non dispiace nemmeno a chi il Super Rugby dovrebbe difenderlo per contratto.
É proprio Andy Marinos, CEO della SANZAR ad affermare che la migliore soluzione per il campionato consisterebbe nel ritorno alla vecchia struttura con 10-12 squadre. Non di più. In pratica un ritorno all’antico in nome dell’equilibrio, perché “La competizione del Super Rugby si è gradualmente allontanata da ciò che la rendeva eccezionale. Le nazioni partecipanti hanno cercato erroneamente di usarla per sostituire le loro competizioni di rugby nazionali.“
Parole che si uniscono a fatti concreti, cioè alle manovre ben avviate da parte del board federale sudafricano che spinge per convogliare a partire dal 2021 le migliori 4 franchigie, Bulls, Sharks, Stormers e Lions, nel torneo celtico del Pro 14. Una soluzione tutto sommato fattibile che scalzerebbe definitivamente i Cheethas (anche se la franchigia di Bloemfontein non ci sta e promette battaglia legale) e i Southern Kings, ma che al contempo alzerebbe di parecchio l’asticella agonistica di un eventuale Pro 16, adesso ridotto a Pro 12.
Dunque il Sudafrica è ufficialmente in fase di innamoramento avanzato con le grandi kermesse del rugby europeo. Un bene per la competitività dell’Emisfero Nord e un male per lo storico duopolio Nuova Zelanda – Sudafrica.
Quella sfida infinita negli anni è diventata un dogma del rugby mondiale perché Nuova Zelanda e Sudafrica si sono auto alimentate cercando l’una di battere l’altra. Due modi di interpretare il rugby apparentemente opposti, ma un denominatore comune: la voglia di stare sul tetto del mondo. Sempre.
Esistono delle faide sportive che sono immortali. Praticamente intoccabili. Federer vs Nadal, Coppi vs Bartali, Real Madrid vs Barcelona, Schumacher vs Hakkinen, Yankees vs Red Sox. E naturalmente All Blacks vs Springboks. 99 partite, 59 vittorie nere, 36 verdi, 4 pareggi.
Il Sudafrica è la nazionale che nella storia ha la più alta percentuale di vittorie nelle partite contro i tuttineri. Il Rugby Championship senza i Campioni del Mondo altro non sarebbe che un triangolare senza pathos alcuno.
Bryn Hall, mediano di mischia neozelandese dei Crusaders ha detto : “Sono il nostro più vecchio avversario, e sì, abbiamo la Bledisloe Cup che ci sta a cuore, ma ogni volta che giochiamo in Sud Africa, per qualsiasi motivo, non esiste un test match migliore.”
#Watch – @crusadersrugby scrumhalf Bryn Hall and @BluesRugbyTeam forwards James Parsons and Tony Lamborn share their thoughts on why the @AllBlacks need the @Springboks in the Rugby Championship.https://t.co/PkjG6eRouF
— SA Rugby magazine (@SARugbymag) September 3, 2020
L’affetto evidenziato dai rivali di sempre però potrebbe non essere sufficiente a cambiare le cose, perché l’esodo in blocco del rugby sudafricano ha un suo senso. In questa fase sono gli Springboks a condurre il gioco delle trattative. Dopo il trionfo della RWC l’appeal della nazionale arcobaleno è logicamente salito alle stelle. Complice una situazione socio economica che in Sudafrica si è fatta poco rassicurante, i soldi dei club europei sono diventati ben presto attraenti per i loro migliori giocatori. Poi ci ha pensato la politica sportiva espressa dai board anglosassoni a strizzare l’occhio verso la rainbow nation.
Nulla oggi è dato per certo, ma più di un personaggio influente si è espresso in favore del transfer sudafricano. A partire da Richard Cockerill, head coach di Edimburgo, che non ha fatto mistero di gradire l’ingresso di 4 nuove franchigie nel Pro 14. Dello stesso avviso l’apertura dei Boks e del Montpellier Handrè Pollard che definisce il rugby sudafricano “più affine allo stile di gioco dell’Emisfero Nord”. Dichiarazioni che confermano un feeling conclamato.
Se una ipotetica sfida fra Benetton e Stormers o un’altra ipotetica sfida fra Italia – Sudafrica diventassero degli appuntamenti fissi, noi tifosi italiani non potremmo che esserne contenti. Ma vuoi mettere il gusto di assistere a delle partite così?