Quel tratto di costa atlantica francese che va da Capbreton fino al confine con la Spagna, dove la deliziosa plage d’Hendaye rappresenta il limite ultimo, è uno dei segmenti più ovali di Francia.
Bayonne, Biarritz, St Jean de Luz, Anglet sono solo alcuni degli spot marittimi in grado di offrire quello stile tutto francese, inconfondibile, denominato dagli indigeni Culture Sud. Fra tavole da surf sotto il braccio, espadrillas ai piedi e palloni da rugby portati in spiaggia come oggetti di culto.
Benvenuti nel favoloso mondo dei Paesi Baschi francesi. O dei Pirenei Atlantici, chiamateli come vi piace di più. Area transnazionale, ricettacolo di cultura enogastronomica, baluardo di identità regionale, roccaforte degli indipendentisti spagnoli che, dopo un lungo processo di stabilizzazione, hanno deposto le armi.
Un viaggio sensoriale sul pimiento di Espellette, sulla consistenza del Jambon di Bayonne, o sui point break della Grand Plage di Biarritz sarebbe argomento di conversazione molto interessante. Ma preferiamo destinare l’attenzione sull’unica onda che a Biarritz ha smesso di alzarsi. Quella del rugby.
Il Biarritz Olympique Pays Basque è la squadra più titolata dei Paesi Baschi. Non di Francia. Dei Paesi Baschi. Distinzione d’obbligo per un club che duella praticamente dalla nascita con gli arci rivali de l’Aviron Bayonnais. Quella Bayonne che è lì, a 5 km di distanza, ma di fatto è un campanile lontano e inavvicinabile, anche per gli ottimisti che ne teorizzavano l’inclusione in un progetto a due con il BOPB.
Cinque scudetti, una Challenge Cup, due Coppe di Francia e due finali di Heineken Cup. Entrambe perse esattamente nel momento in cui i Biarrot erano fra le squadre più forti d’Europa. Anzi erano un team da stropicciarsi gli occhi, giusto per essere precisi.
Nella prima decade degli anni 2000 dalle parti dello stade Aguilera si respirava la profumata aria del rugby internazionale. Quello che conta. E l’equipe basca dell’ex presidentissimo Blanco non brillava solo di luce riflessa. Sulle rive dell’Atlantico stazionava un vero e proprio parterre de rois. Basti pensare che la terza linea campione di Francia nel 2006 era occupata dal trio Betsen, Dusatoir, Harinordoquy. Praticamente il top di gamma che il rugby d’oltralpe poteva offrire in quel momento.
Il Biarritz di Lagisquet era una squadra divertente. Schierava una linea di trequarti taglia XXL composta da Traille, Gobelet, Bobo, Brusque. Interpreti di lusso e di trincea.
Così era facile mostrarsi scoppiettanti, vincere gli scudi di Brenno, si dirà. Però su tutti loro ha troneggiato il rugby elegante (dispensato con perle di tecnica e balistica sopraffina) di Monsieur Dimitri Yachvili. Il mediano di origine georgiana, insieme ad Harinordoquy è stato l’emblema di un club che ha saputo mettere in discussione la leadership nazionale del Tolosa invincibile di Guy Noves.
L’ultima appendice di gloria del Biarritz risale al 2010, uno degli ultimi annus mirabilis del rugby francese. Il Biarritz “operaio” di Gonzales arrivò in finale di Heineken Cup, proprio contro Tolosa. Il blocco storico del Biarritz composto da August, Thion, Harinordoquy, Yachvili, Peyrelongue e attorniato da alcune stelle di ottimo livello come Ngwenya, Balshaw, Hunt, mancò di un soffio l’affermazione europea più grande.
Una sconfitta che a conti fatti chiuse un capitolo frizzante del rugby transalpino.
Poi il buio. La crisi economica, i tentativi di fusione con Bayonne, la discesa in Pro D2, il rischio fallimento. Nel 2018 un fondo finanziario di Hong Kong tranquillizza le acque. Con Gonzalo Quesada in panchina arrivano anche i play-off della Pro D2, ma è un fuoco di paglia.
Il Biarritz tenta di vivacchiare, ma oggi è un luogo dove il rugby occupa un posto residuale. Una sorte ingrata per il club basco, ancora alle prese contro un debito di 3 milioni di euro che rischia di compromettere i difficili equilibri economici ricostruiti dal presidente Aldigè.
A distanza di sei anni dalla retrocessione possiamo dirlo: rivivere quei momenti in cui il Biarritz infiammava lo stadio Anoeta, cattedrale della Real Sociedad, non sarebbe poi così male.