C’era un ragazzo che come Jonny calciava il pallone indifferentemente di destro e di sinistro, e il suo nome era ed è Beauden John Barrett, numero 15 dei Blues e (forse) degli All Blacks.
Quel Jonny di cui dicevamo di cognome ovviamente fa Wilkinson, diventato celebre per la sua precisione con i piedi, entrambi: ““Dopo la scuola tornavo a casa e dicevo a mia madre: devo andare ad allenarmi. Mi portava al campo da rugby e restava in macchina a leggere un libro. Le mie sessioni di calcio servivano come miei piccoli momenti per rimettere tutto in linea, per riguadagnare il controllo totale su tutto” ha raccontato l’ex numero 10 dell’Inghilterra, uno in grado si lasciare a bocca aperta gli spettatori già ad undici anni, quando con la squadra del suo paesino nel Surrey si fece riprendere da una troupe della BBC a calciare fra i pali alcuni drop, senza nessuna differenza di risultato fra l’utilizzo del piede e quello del piede sinistro.
Una caratteristica, quella di essere ambidestro, che lo ha reso uno dei giocatori migliori di tutti i tempi, e che oggi Beauden Barrett sta riportando alla ribalta grazie alle sue particolari prestazioni in questi primi 240 minuti di Super Rugby Aotearoa.
Ambidestria
Il piede naturale di Beaudie, soprannome oramai talmente in voga che pure James Doleman, il direttore di gara di sabato scorso, si è più volte permesso di richiamare il giocatore con tale diminuitivo, sarebbe il destro.
Nelle prime tre partite dei Blues nel nuovo torneo neozelandese, Barrett ha usato il sinistro 8 volte su 27 calci eseguiti in situazioni di gioco in movimento (quindi eccezion fatta per i calci in rimessa laterale da punizione, di cui si occupa). Lo scorso weekend, contro gli Highlanders, questa caratteristica è apparsa ancora più visibile, vuoi perché arrivata in quantità maggiore, vuoi per la qualità nell’utilizzo del piede sinistro.
33.3% of Beauden Barrett’s kicking out-of-hand in general play during #SuperRugbyAotearoa has been off his unnatural left foot. This was up to 45.5% against the Highlanders. I could be wrong, but I don’t think we’ve seen this ability at a high level since Jonny. #BluesRugby
— Ben Smith (@bensmithrugby) June 29, 2020
Si tratta di una peculiarità nuova del gioco di Barrett. In generale, il gioco tattico al piede non è stata la caratteristica cruciale per cui il 29enne neozelandese è stato applaudito come miglior giocatore al mondo per due volte. Beaudie ci ha stupito per la sua sovrannaturale velocità, il suo fiuto per la meta, la capacità di essere sempre nel centro nevralgico dell’azione con un gesto decisivo, le sue pazzesche coperture difensive.
Nonostante abbia ovviamente una visione di gioco e una intelligenza rugbistica molto sviluppate, non è quel tipo di playmaker tattico alla Danny Cipriani o alla Finn Russell, capaci di illuminare un’azione, se non una partita, con una singola scelta, un singolo passaggio. Questa sua nuova veste di secondo regista della squadra che sta indossando ai Blues è nuova per lui e inaspettata per noi che lo guardiamo.
Secondo play
Quando Barrett è passato dagli Hurricanes ai Blues, in uno dei trasferimenti che hanno fatto più rumore degli ultimi anni, ci saremmo aspettati che la squadra di Auckland lo calasse come l’asso di briscola all’interno della sua realtà: mettiamo Beaudie alla guida, ci penserà lui a guidarci al successo. Le cose sono andate un po’ diversamente: se vi aspettavate contrattacchi spettacolari, accelerazioni brucianti capaci di dividere in due le difese e un accentramento del gioco nelle sue mani, vi siete sbagliati. Ma tranquilli, siete in buona compagnia.
Il suo utilizzo si è rivelato finora quasi modesto, consentendo intelligentemente a Barrett sia di giocare senza l’intero peso della città di Auckland sulle spalle, sia di mettersi a disposizione della squadra, moltiplicando il valore di chi gioca al suo fianco.
Indovinate di cosa parlava l’ultima puntata di Quindici? Ma ovviamente di Super Rugby Aotearoa, con i Blues, anche in questo caso, a farla da protagonisti
Dato che nel Super Rugby originale non aveva fatto in tempo ad esordire, Leon MacDonald ha avuto tutto il tempo di pensare a come inserire al meglio il giocatore nella cornice strategica della sua squadra. Ha scelto di dargli la maglia numero 15, proseguendo sulla scia che aveva visto i Blues iniziare la stagione con Otere Black a numero 10 e Stephen Perofeta, altro mediano di apertura per formazione, ad estremo. Il principio è quello di mettere in campo insieme tutti i giocatori migliori che ha a disposizione la squadra, probabilmente lo stesso motivo, poi, per cui Rieko Ioane si è spostato a centro, dando così spazio a due giocatori super interessanti come Mark Telea e Caleb Clarke.
L’ex campione del mondo under 20 Otere Black è il principale playmaker della squadra. Un giocatore geometrico, che ai Blues sta ritrovando continuità dopo essere stato chiuso per tanto tempo agli Hurricanes (indovinate chi era che monopolizzava la numero 10 da quelle parti…). Black è dotato soprattutto di un piede educatissimo, chirurgico, che combinato a quello, anzi quelli, di Barrett rende davvero un incubo difendere la profondità del campo per gli avversari.
Barrett, invece, gioca il pallone solo quando necessario. I Blues lo usano come secondo playmaker, ma più che come ricevitore esterno, Beaudie si posiziona spesso da primo uomo in piedi dalla parte chiusa, in modo tale da creare due fronti di attacco di eguale pericolosità per la difesa.
Il giornalista inglese Charlie Morgan, del Telegraph, ha raccontato il nuovo approccio di Barrett in un fantastico pezzo di qualche giorno fa. Da lì sono fra l’altro tratti i numeri di questa grafica, che mette a confronto il diverso utilizzo dei due estremi di Blues e Chiefs quando si sono trovati uno di fronte all’altro, nella seconda giornata del Super Rugby Aotearoa. Damian McKenzie è utilizzato di più, sfida maggiormente la difesa, ma gioca di più anche come primo ricevitore (14 volte su 16 palloni toccati all’interno di un multifase). Barrett ha un approccio più conservativo: pochi rischi e tanto piede per far giocare gli avversari nella propria metà campo.
La franchigia di Auckland è una squadra che rischia poco, ma utilizza il piede non solo per minimizzare le possibilità di errore nella propria metà campo, ma anche per costringere gli avversari a giocare costantemente dal proprio campo, spostando la pressione su di loro. Una strategia portata al massimo dell’efficacia proprio sabato scorso contro gli Highlanders.
La squadra allenata da Aaron Mauger difende mettendo 13 uomini sulla linea difensiva, e solo due a coprire la profondità del campo. La retroguardia è quindi praticamente costretta ad anticipare il più possibile il gioco, per consentire di avere una copertura adeguata. Un movimento che lascia costantemente sguarnita almeno una zona là dietro, e che la precisione di Black e Barrett possono punire ogni singola volta.
E’ una situazione da pick your poison, come dicono nell’NBA, scegli il veleno che ti ucciderà: preferisci essere messo in croce dal folle assortimento di calci di cui i due playmaker dei Blues sono provvisti, o togliere un giocatore dalla linea difensiva dando così spazio a giocatori come Rieko Ioane,
Caleb Clarke, Mark Telea e compagnia?
Seconda meta dei Blues con tantissimi dettagli. Ruck al centro del campo, con il pallone che sta andando da sinistra verso destra. Due fronti d’attacco: Black nel senso di gioco, Barrett in chiusa. La difesa pertanto schiera profonda l’ala dalla parte aperta (si intravede quando l’inquadratura si apre dopo il passaggio di Nock), piatta l’ala chiusa e l’estremo Gregory sull’asse del pallone. Barrett colpisce con un elegante grubber di sinistro, piede teoricamente debole, e manda in caccia i suoi segugi, tornando immediatamente a coprire la profondità. Faiane, Sotutu e Papali’i non esasperano la corsa per cercare di vincere una gara in velocità sicuramente persa, ma rimangono connessi, in linea, per portare la pressione più efficace possibile. Gregory, un po’ in ritardo per via della vasta porzione di campo da coprire. ci mette un po’ troppo a liberarsi del pallone. Sotutu stoppa, Papali’i segna. Per un analisi più specifica dell’azione e del pregio di essere ambidestri, leggere qui. Inglese richiesto.
Scuola neozelandese
Sono due le tendenze del rugby neozelandese nelle quali si inserisce questo ruolo da estremo di Beauden Barrett e il suo ambidestrismo pedatorio. Da qualche anno in Nuova Zelanda è in voga un’evoluzione del ruolo del numero 15 come secondo playmaker. E’ un trend non solo kiwi, visto che anche il Sudafrica campione del mondo ha portato a livelli di eccellenza questo particolare, con Willie le Roux interprete principe. D’altra parte, però, anche le franchigie del Super Rugby si stanno adattando con giocatori come Damian Willemse e Warrick Gelant.
Apertura ed estremo sono due ruoli che storicamente hanno analogie dal punto di vista delle caratteristiche tecniche, ma in tempi recenti lo sviluppo del numero 15 come secondo playmaker sta prendendo il posto che una volta era del numero 12. Riassumendo grossolanamente, alcune squadre hanno preferito, e continuano a farlo ancora oggi, un primo centro con spiccate caratteristiche di distribuzione e playmaking in luogo del primo centro sfondatore à la Jamie Roberts. L’Australia, ad esempio, ha fatto scuola in questo, da Elton Flatley all’esterno di Stephen Larkham nel 2003, passando per Kurtley Beale primo centro con Michael Cheika, fino a Matt Toomua. L’Italia nel Sei Nazioni 2020 ha spostato Carlo Canna a numero 12.
Ovviamente, con l’evoluzione del gioco, è importante che sempre più giocatori abbiano capacità tecniche e di decision making adatte a fare scelte corrette in breve tempo. Vedremo probabilmente linee di trequarti con sempre più giocatori di alto livello in queste specifiche caratteristiche. Gli stessi Blues, ad esempio, poggiano su un TJ Faiane che possiede buone qualità a livello distributivo.
L’estremo, però, sta diventando il giocatore più capace di inserirsi in queste situazioni, naturalmente facilitato per via della sua distribuzione a occupare le posizioni necessarie a minacciare le difese creando un secondo fronte d’attacco. In Nuova Zelanda i Blues e i Chiefs sono le due squadre che esasperano questo concetto con Barrett e McKenzie, ma anche Jordie, il fratello giovane di Beaudie, potrebbe interpretare una funzione simile negli Hurricanes, Will Jordan e David Havili dei Crusaders fanno lo stesso, gli Highlanders hanno comunque giocato una percentuale interessante di palloni attraverso il numero 15.
Love this… good nudge pic.twitter.com/Z7U8okFWaz
— RussellEarnshaw (@russellearnshaw) June 27, 2020
Interessante screenshot di Sky Sport sulla distribuzione del ruolo di playmaker. Contro gli Highlanders Barrett è stato più coinvolto rispetto a Black (almeno fino al punto in cui è apparsa la statistica), mentre gli ospiti hanno contato molto sulle qualità dei propri avanti, che si sono saputi episodicamente imporre nelle cariche frontali, e su quella di Aaron Smith
La seconda tendenza è poco più di un sospetto, va dimostrata nel lungo periodo. Beauden Barrett ci sta deliziando con i suoi calci con entrambi i piedi, Damian McKenzie ha usato il mancino debole contro i Crusaders, mentre dall’altra parte Jack Goodhue si è esibito in due grubber eseguiti uno col destro e uno col sinistro. Sembra quasi che l’abilità di calciare indifferentemente con un piede o con l’altro sia tenuta in alta considerazione nella terra della lunga nuvola bianca.
D’altronde questo si inserisce in un discorso tattico che sotto traccia sta dilagando: l’uso del piede è un’arma sempre più importante, quindi una competenza trasversale che la maggior parte dei giocatori deve cercare di acquisire a un livello sempre più alto. Dimostrano i calci di Hoskins Sotutu dalla base della mischia e del tallonatore James Parsons, entrambi dei Blues, nella sfida contro gli Highlanders.
Come sempre, il rugby neozelandese è un vero e proprio laboratorio per un rugby d’avanguardia, quasi fosse una branca della ricerca scientifica. L’avvento dal prossimo weekend del Super Rugby AU, con l’utilizzo della regola 50:22, potrebbe portare altre sugose conseguenze in questo specifico ambito del gioco.