Domenica 26 aprile alle ore 20.20, puntuale come un intercity a lunga percorrenza, è arrivata la diretta del Premier Giuseppe Conte dedicata alla tanto attesa fase 2. Non serve entrare nei particolari del nuovo decreto per capire che qualcosa sta cambiando. E le strategie di aziende, istituzioni, enti e associazioni di ogni genere dovranno essere implementate verso azioni di ripartenza ponderate per non rischiare di trovarsi impreparati di fronte ad uno scenario post covid tutto da scoprire.
Lo sport è stato il grande protagonista del discorso presidenziale, anche se l’incertezza su cosa si potrà fare o cosa non si potrà fare regna ancora sovrana. Allora limitando il raggio di azione dell’analisi al nostro rugby proviamo a chiederci, cosa si è fatto per essere pronti? Il segmento temporale senza gare ed allenamenti è stato ben gestito dagli attori principali del rugby italiano?
La domanda è piuttosto retorica mentre la risposta è tanto incerta quanto lo è il DPCM di Conte. La FIR infatti si è trovata ad affrontare un fermo delle competizioni che di fatto ha cristallizzato i campionati, annullato l’attività internazionale e azzerato il rugby di base. Tutto in un colpo solo. Tutto gestito con una tempistica che poteva quanto meno essere valutata in itinere.
In ogni caso questo “italian lockdown” (che poi possiamo chiamarlo anche confinamento) ci ha fatto scoprire che esistono nuove soluzioni a vecchi problemi. Non sono un tifoso del ristretto club dei “purificatori”, ovvero coloro che credono nelle virtù miglioratrici del coronavirus. Ma ho potuto constatare come tutti che le regole di interazione fra individui sono state riscritte. Largo allo smart working, alle videoconferenze, all’apprendimento a distanza, alle strategie di comunicazione alternative.
Abbiamo scoperto che gli strumenti tecnologici se ben usati facilitano e faciliteranno l’apprendimento. Faciliteranno anche il risparmio di tempo, spazio e denaro. Magari sarà uno strumento di utilità quando il meteo in allerta non consente di riunirsi ad esempio in una classe scolastica. Allora credo che nell’immediato futuro molti club potranno istituire delle sessioni di allenamento e/o approfondimento video dal momento in cui la pioggia dei lunghi e umidi inverni riempirà di fango i disastrati campi dell’Italia ovale. Un modo per aggirare la barriera della mobilità che forse fino ad oggi non avevamo pensato. O almeno non lo avevamo fatto in tanti. Ottima notizia.
E poi? Tutto qui? No. Niente affatto. Sappiamo che il rugby come la scuola non può vivere solo via etere. Il sistema digitale necessita di un rapporto equilibrato fra umanesimo e tecnologia. I due mesi abbondanti di quarantena però sono un caso a parte e sono da considerarsi come una finestra ghiotta per alzare il livello di competenze gestionali dei nostri club. Non ho passato in rassegna tutte le attività di comunicazione della FIR, ma ho compreso che il piano editoriale ha privilegiato il focus sul patrimonio storico del nostro rugby. Una serie di pillole da regalare alla community come i relive delle vecchie partite, alcuni podcast di approfondimento, i compleanni e le challenge dei giocatori azzurri, che con un tono scherzoso si avvicinano simbolicamente ai propri tifosi. Assolutamente comprensibile.
Si può fare di più. Cavalcando il sentimento collettivo è semplice notare che i maggiori brand commerciali, i grandi broadcaster, ormai da due mesi privilegiano il racconto articolato e la gamma di contenuti divulgativi rispetto al mero esercizio di intrattenimento. Perchè oggi ci troviamo di fronte ad una condizione quasi irripetibile: un’enorme capitale di attenzione da valorizzare, con questa opportunità che è capitata a dei colossi che prima del covid sarebbero stati travolti dall’affollamento e la frequenza di altre campagne pubblicitarie. Le Federazioni sportive di solito non si discostano da questa overdose di contenuti. L’attività sportiva regolare infatti non offre l’opportunità di investire troppo tempo su processi di pura formazione come webinar, tutorial o cloud condivisi su temi quali regolamento ed arbitri, sicurezza del gioco, gestione di una clubhouse, sponsorizzazioni e digital marketing.
Mi aspettavo, ma forse non è troppo tardi per correre ai ripari, un trasferimento di conoscenze dall’alto verso il basso che mai come adesso potrebbe trovare un’audience numerosa e pronta a ricevere determinati stimoli. Non parlo solo di contenuti tecnici, chiaramente prioritari, ma penso anche a quelle strategie di digital marketing, di comunicazione multimediale che servirebbero come il pane a quei piccoli club che costituiscono il blocco di granito del rugby di base.
Mi piacerebbe avere fra le mani il pendolino di Maurizio Mosca per vedere il futuro. Non ce l’ho. Eppure comprendo facilmente che le prospettive economiche dei club che fanno attività di propaganda saranno distrutte da questo maledetto virus. Meno soldi per le strutture, per il materiale, per gli educatori e per le trasferte. Queste ragioni implicano un piano di intervento mirato alla formazione dei dirigenti, orientandolo verso la sfida di un futuro digitale che ormai si ritiene un requisito primario per costruire un club performante.
Quando le altre discipline juniores ripartiranno nessuno potrà pensare di fare pubblicità alla propria squadra come se niente fosse successo. I fruitori, i potenziali genitori disposti a pagare una retta per far giocare il proprio bambino saranno più attenti alle condizioni igieniche, più capaci di comprendere la sfida digitale, forse meno disponibili ad affrontare sforzi economici, forse più lucidi nel cercare una coerenza fra valori sbandierati e valori espressi.
I mutamenti sociali richiedono una sensibilità nella costruzione dei messaggi comunicativi che spesso si incarnano in una figura specializzata, che però non tutti i club possono permettersi. E allora perchè non affrontare questo tema con un percorso formativo completo e ricco di strumenti pratici? Lavorare per un’alfabetizzazione digitale che oggi come non mai è funzionale all’attività sportiva. Certo, durante la stagione agonistica è possibile attingere ai principi dello sport marketing, ma per farlo bisogna iscriversi ai corsi a pagamento per responsabile sviluppo club. Comprensibile anche questo.
Costruire un percorso di formazione tecnica e multimediale oggi è importante, gratuito lo sarebbe ancora di più. Ne trarrebbe beneficio in primis la FIR che si troverebbe una moltitudine di club pronti a comunicare il rugby di base e convertirlo in numeri partecipativi. Non è un mistero che la scarsità di risultati della nazionale offra un prodotto rugby meno vendibile ai media e di conseguenza agli sponsor. E poi darebbe l’opportunità ai club di uniformare una volta per tutte il livello di relazioni esterne, creando una rete di comunicazione forte, pronta a fronteggiare la concorrenza con le altre discipline nel reclutamento dei nuovi adepti e quindi di nuovi talenti.
I comitati regionali su iniziativa della FIR già da due anni hanno iniziato a informare i club su alcune dinamiche del piano di comunicazione federale. Si sono svolti momenti di formazione dirigenziale in aula. E questo è un bene. Adesso il momento storico richiede di spingere sull’accelleratore e portare le società a formarsi in profondità sotto la regia della FIR, condividendo un obiettivo preciso: riportare il rugby italiano ad essere uno sport giocato, vissuto e tifato. Dopo la parantesi del coronavirus ne avremo bisogno più che mai.