Il confronto fra rugby e calcio nasconde sempre un tranello. Si può discutere sul fascino di uno o sulla lealtà dell’altro, oppure si può intavolare il discorso su decine di altri temi che dividono di netto le due discipline. I rugbisti sembrano sempre più vicini ad una presunta superiorità morale che non trova riscontro nel dorato mondo del professionismo. Un paio di cose sono indiscutibili sia per il rugby che per il calcio: i numeri e la storia.
Il calcio ad esempio ha introdotto quarant’anni prima del rugby il sistema delle Coppe Europee e questo non è un elemento confutabile, ma possiamo affermare con la stessa certezza che un Munster – Harlequins sia meno affascinante di un Athletic Bilbao – Borussia Dortmund?
La storia della Coppa dei Campioni ovale è piuttosto recente. L’anno 1995 come spartiacque poi il relativo passaggio al professionismo hanno indirizzato i club più influenti del rugby europeo a sfidarsi nella vecchia Heineken Cup che oggi è tornata all’antico e si chiama di nuovo così, marchiata con il brand di birra più popolare d’Europa.
In 25 anni di sfide continentali sono variate alcune strutture fondanti come il passaggio da 20 a 24 squadre, l’introduzione del punteggio australe (quello dei bonus point per capirsi) e il ritorno alla formula odierna con 20 squadre divise in 5 gironi. Piccole trasformazioni, nessuno scossone.
Guardando l’albo d’oro si ha ulteriore conferma che la principale competizione europea per club è un torneo poco avvezzo ai cambiamenti. Le squadre vincenti provengono solo da Inghilterra, Francia e Irlanda con Stade Toulousain Tolone e Saracens a fare la voce dei padroni, rispettivamente con 4 e 3 vittorie per parte. Agli altri solo briciole. Un po’ come succede per il salotto buono del rugby mondiale quando si parla di Rugby World Cup.
E’ proprio scorrendo la cronistoria dei vincitori che l’occhio non può non fermarsi all’edizione 1996/97. Fra le undici sorelle che hanno scolpito il proprio nome nel pannello dei vincitori c’è anche il Club Athlétique Brive Corrèze Limousin.
La squadra bianconera è oggi un pesce piccolo del Top 14. Non ha mai vinto un titolo nazionale ma è diventata campione d’Europa nel 1997. Il brutto anatroccolo sconfitto nella finale del Campionato Francese 1996 che si trasforma in cigno e porta la coppa più importante del rugby europeo nella terra dei secondi. La stessa terra di Raymond Poulidor, secondo per eccellenza, eroe di un ciclismo d’antan forgiato a colpi di sudore e umiltà fra gli allevamenti della vacca del Limousin. Per lui lo scoglio insormontabile si chiamava Jaques Anquetil. Per i bianconeri invece la prova glorificante prende il nome di Leicester Tigers.
Quel Brive è una squadra che rispecchia fedelmente il blocco duro del rugby francese di provincia. Pochi fronzoli e tanta sostanza. Lo riconosce anche Bob Dwyer, coach dei Leicester Tigers con una Coppa del Mondo nel palmares che tutto si aspetta tranne che di perdere nel tempio di Arms Park contro il Brive operaio “che non gioca come una squadra francese”. Parole sue.
Siamo ancora in epoca di french flair, di rugby destrutturato, a tratti quasi naif. I 20.000 spettatori inglesi accorsi dalle Midlands per festeggiare il primo alloro continentale sono lì per assistere ad uno spettacolo quasi scontato. I Tigers sono i favoriti, preparati a puntino per rullare senza pietà un avversario sprovvisto di pedigree. Nonostante la marcia di avvicinamento alla finale dei bianconeri sia stata scandita da sei vittorie su sei il pronostico è a tinte verdi e rosse.
Gli inglesi hanno demolito lo Stade Toulousain in semifinale e vantano una distinta che solo nei primi 15 riporta i nomi di Martin Johnson, Richard Cockerill, Darren Garforth, Neil Back, Dean Richards, Austin Healey, Rory Underwood, Will Greenwood, praticamente una parata di stelle.
In campo le cose si mettono diversamente rispetto a quanto pronosticato. Il gigante di Welford Road ha i piedi di argilla.
Il rugby aristocratico del Leicester trova nelle fasi di conquista una comfort zone che d’improvviso è messa in discussione da una squadra cocciuta, composta da un collettivo arcigno che schiera solo 5 uomini con esperienze in nazionale: Philippe Carbonneau, Sebastian Viars, David Venditti, Cristophe Lamaison e Alain Penaud. I cinque giocatori in questione all’epoca non figurano nemmeno fra i titolari dell XV di Francia, eccezion fatta per la presenza costante fra i Blues di Lamaison e in parte di Penaud nel periodo che va dal 1997 al 2001.
Accanto a loro una pletora di luogotenenti d’acciaio forgiati a colpi di bagarre nel duro campionato d’oltralpe. In prima linea svetta il ghigno di Laurent Travers, in seconda il duo composto dal belga Van der Linden e dal neozelandese Gross domina sui diretti avversari. In terza linea il polacco Grzegorz Kacala sembra un treno merci lanciato a tutta velocità su dei muri di cartone. Kacala fa breccia ogni volta che ha la palla in mano, gioca la partita della vita e conquista la palma di migliore in campo. E’ il primo ed unico polacco nella storia del rugby a vincere una Coppa Europea. Basterebbe questo per rendere la finale più unica che rara.
Il dominio dei brivistes è mitigato dagli errori al piede di Lamaison e Viars che falliscono 7 calci su 10 e 4 drop su 5. Il gioco alla mano però risolve tutto. Dominanti in mischia, abilissimi a giocare negli spazi, astuti nel mandare in meta Sebastian Carrat, un folletto che in carriera è stato anche finalista del campionato francese di atletica leggera, specialità 100 metri. Per lui all’ottantesimo minuto sarà doppietta e consacrazione di miglior meta man del torneo con 10 segnature totali.
Il resto è leggenda. I 5000 tifosi che ammutoliscono l’Arms Park intonando la Marsigliese, la piccola municipalità di Brive La Gaillarde che si riversa nelle strade, le accuse di doping respinte dal Presidente Sebastièn, i bar presi d’assalto dai giocatori.
Da leggenda anche il viaggio di ritorno della squadra a bordo del volo Brit Air partito da Cardiff direzione Nantes. Quel rientro in patria fu motivo di inchiesta per la FFR a cui fu notificato che il personale dell’aereo era stato importunato dai neocampioni d’Europa fra bottiglie di champagne, sigarette a profusione e tartine lanciate a tradimento sui passeggeri inorriditi. Il tutto per una modica cifra di 300.000 franchi (46.000 euro) di danni. Ma erano altri tempi, un altro rugby e un’altra Europa.
Il match integrale: