Richard Harris e quel ponte fra rugby e cinema

Il Coronavirus è una bestiaccia di cui voglio parlare il meno possibile. E’ colpevole di aver dato una spallata da cartellino rosso al traballante sistema economico nazionale, alle nostre abitudini, alle nostre prospettive. Oltre alla palese emergenza sanitaria che non necessita di ulteriori approfondimenti perchè siamo su un semplice rugby blog.

L’unico pregio di questa inedita situazione è il tempo. Una risorsa che magicamente è tornata a disposizione di tutti. Me compreso. In questi giorni di noia abbiamo usato www.ohvale.it per dare qualche pillola di rugby  e cultura. Un modo gentile per allietare le lunghe ore di quarantena.

Poi mi sono messo a cercare i film sulle pandemie nel copioso catalogo di Netflix e il morale è cascato sotto i tacchi delle scarpe. Pardon delle ciabatte. Meglio virare su altro.

Allora ho provato a fare un po’ il secchione e ho ricercato una pellicola vista molti anni fa che oggi giace tra i meandri dei titoli finiti sotto traccia e che già sul finire degli anni 70 sussurrava lo spettro di un contagio epidemiologico  pronto a espandersi a catena su scala mondiale. Il titolo ve lo dirò più avanti, mentre posso già anticipare che era prodotto dall’italianissimo Carlo Ponti e aveva nel cast Sofia Loren e Richard Harris. Se avete voglia di fare qualche paragone rispetto al periodo che stiamo vivendo con il Covid19 allora guardatelo, anche perché oltre alle immagini patinate del regista George Pan Cosmatos potrete trovare un cast stellare composto da Martin Sheen, OJ Simpson, Burt Lancaster e Ava Gardner.

Tutti loro però non valgono quanto Richard Harris. E non si tratta solo della carriera sviluppata da questi giganti di fronte alla macchina da presa. A livello di filmografia ognuno degli attori citati è da considerarsi come un mostro sacro di livello planetario, ma nessuno poteva vantare il rapporto unico e inscindibile che Harris aveva con la palla ovale.

L’attore irlandese infatti è il primo ex rugbista di un certo livello ad aver fatto carriera nello star system del cinema internazionale. Richard Harris nasce a Limerick nel 1930 e fin da ragazzo aveva esercitato la sua grande passione per la recitazione, senza che questo gli impedisse di coltivare l’altro grande amore per il rugby. Attaccato visceralmente allo storico Garryowen Football Club (fondato nel 1884 nonché squadra di origine di Conor Murray) e di conseguenza alla squadra provinciale del Munster, Richard Harris incarnava l’emblema e le contraddizioni di quella porzione di Irlanda che ha in Limerick il suo centro più importante.

La città del Thomond Park, una delle cattedrali più influenti del rugby moderno, è stata per lungo tempo anche un centro industriale di primo ordine, con la fabbrica della major americana Dell che in tempi recenti forniva lavoro e prospettive un po’ a tutti. Poi la crisi, la depressione, il 23 % di disoccupazione giovanile e l’unico appiglio economico con l’aeroporto internazionale di Shannon. La Limerick di Richard Harris, quella degli anni 40, era anche la città dell’Irish World Music Centre, dell’Hunt Museum e Belltable Arts Centre. Una centro urbano che non poteva non plasmare significativamente un ragazzo con il guizzo dell’istrione e la fame dell’agonista.

La carriera rugbystica del giovane Harris è solo l’incipit di un trasformismo che evidenzierà nel tempo i suo tratti distintivi di attore. Fisicità, impeto , sfrontatezza.

Con la maglia del Crescent College segnò undici mete nel campionato scolastico, distinguendosi per uno stile di gioco molto spigoloso. Accanto lui c’era un altro Munster Man scolpito nel granito: il pilone Gordon Wood, padre del futuro capitano dell’Irlanda Keith Wood. Siamo sulla fine degli anni 40 e fra una sigaretta e l’altra, rigorosamente fumata a bordo campo, Harris provava gusto a sfidarsi con i giocatori più rognosi del campionato. La parabola del rugby giocato dura fino alla squadra del Munster under 20, poi a fermarlo è la tubercolosi che lo costringe a lasciare il campo piuttosto rapidamente.

Gli anni seguenti segnano il suo approdo a Londra e sono quelli della formazione intellettuale nonché del progresso artistico. Nel 1954 inizia a studiare alla London Academy of Music and Dramatic Art, mischiando lo sviluppo di altri talenti come quello per la musica, per il teatro, per la regia e…..per le conquiste amorose.

Il successo arriva con This sporting life di Lindsay Anderson (1964) , ovvero una delle opere di punta di quel periodo. Un film manifesto legato inesorabilmente al primo amore dell’attore irlandese. Richard Harris infatti interpreta un giocatore di rugby che vive la sua vita fra il campo e una periferia industriale oltremodo degradata. Sembra la storia della sua gioventù, quando Harris dà il meglio di sé come giocatore e contestualmente inizia ad avvicinarsi a quello stile bohemien condito da vizi, vizietti e stravizi che segneranno tutta la sua esistenza.

La carriera da attore procede in linea con il suo profilo da anticonformista. Lavora con registi impegnati come Sam Peckinpah, Michelangelo Antonioni ed Elliot Silverstein, interpretando dei ruoli che ne enfatizzano la durezza espressiva mischiata a sfumature psicologiche impensabili.

Nel 1976 interpreta il coraggioso dottor Jonathan Chamberlain in Cassandra Crossing (il ponte di Cassandra) , il film di cui ho parlato poco sopra e che oggi potremmo vedere con gli stessi occhi con cui guardiamo le nostre città in pieno isolamento da virus.

Il grande pubblico lo ricorda in epoca più recente ne Gli spietati di Clint Eastwood e con le vesti del mago Albus Silente nella saga di Harry Potter.

In 43 anni di cinema è rimasto sempre fedele all’amore per i colori del Munster. Lo dimostra il fatto che prima della finale di Heineken Cup del 2000 inscenò un famoso siparietto con Peter O’Toole mostrando la maglia originale della partita fra Munster Schools e Scozia indossata nel 1948.

Richard Harris è stato un personaggio unico che se n’è andato nel 2002 a 72 anni anche a causa di uno stato di salute debilitato da una vita vissuta sempre al massimo.

Adesso l’unico modo per conoscere a fondo le sue mille sfaccettature è leggere il libro postumo Behaving Badly: A Life of Richard Harris.

Il tempo e la curiosità sono dalla nostra parte.