Non chiedetecelo. Non ci interessa. Sabato inizia l’evento più atteso del 2020 e siamo già felici così. Il tifoso italiano è come il cardiologo che fuma due pacchetti di Marlboro al giorno. Conosce il rischio, ama un sapore, sa che può nuocere alla salute, e alla fine tira diritto per poi interrogarsi se ha fatto bene o male. Il Sei Nazioni è un torneo magico, dove le dinamiche sportive si mischiano a rivalità storiche lunghe 150 anni. Per cui spegnere immediatamente il disco incantato dei detrattori della presenza italiana nel torneo nobile dell’Europa ovale è il primo passo per comprendere cosa ci aspetta.
Un contributo interessante, su cui possiamo duellare come nostra abitudine, è quello del Prof di Rugby Pirates che ha innescato il confronto con questa ottima analisi. Leggi qui l’articolo del Prof su Rugby Pirates.
Tornando all’attesa del calcio di inizio, sappiamo che sta per arrivare una scorpacciata di partite ad alto livello emozionale. Rispetto a dodici mesi fa potete invertire l’ordine degli addendi, ma il risultato non cambierà. Le gare che già erano indecifrabili nel 2019 in piena previsione mondiale , oggi a distanza di tre mesi dalla kermesse giapponese si preannunciano per gran parte di esse ancora più difficili da interpretare. Favorite? Inghilterra, Francia e Galles. Irlanda e Scozia possono fare tutto e il contrario di tutto. L’Italia al momento sta a cuccia e non è necessariamente un male.
Questo potrebbe essere un abbozzo di classifica, anche se poi è cosa nota: Cardiff, Parigi, Edimburgo, Dublino e Londra sono fortezze. Chi riesce a violarne almeno una ad inizio torneo entra in quella dimensione progressivamente sempre più esaltante e allora la vittoria finale si trasforma da chimera ad obiettivo concreto.
QUI ROMA. L’unico territorio di caccia appetibile un po’ per tutti è lo stadio Olimpico. Lo spettatore italiano non si fa illusioni. Siamo i sesti su sei. La competizione però non ci può vedere esclusi, non fosse altro che dobbiamo portare rispetto a coloro che nel Sei Nazioni ci hanno accompagnato prendendoci per mano esattamente venti anni fa. Franco Smith non è uno sciamano, ma ha testa e attributi quadrati quanto basta per marcare una discontinuità con il recente passato. Uomo di poche e misurate parole (finalmente), sta gestendo il nuovo gruppo in equilibrio fra certezze del passato e sfide del presente. Il gruppo attende la crescita definitiva di un pool di prime linee giovani e sfrontate come Riccioni, Fischetti e Zilocchi. Il punto forte è tutto in terza linea. Steyn, Polledri, Licata, Negri possono fare grandi cose. Se poi Minozzi saprà riportare in nazionale il know how che sta accumulando a Londra, allora ci sarà un folletto in più da fermare. Gli enigmi sono sempre gli stessi: mediana da inventare, seconde linee non esattamente sullo standard delle più forti. Il lavoro da fare c’è, Smith lo sa e non si tira indietro. Possiamo vincere con la Scozia, dobbiamo tirare fuori le unghie con Francia, Irlanda e Galles, mentre è obbligatorio ritrovare quel raziocinio che non ci faccia soccombere con l’Inghilterra. Vincere, convincere, trovare un’identità tutta italiana. Se Franco insisterà su questi tre elementi Roma tornerà ad essere indigesta a molti. Classifica finale: sesta a 4 punti.
QUI CARDIFF. I campioni in carica e anche i primi avversari dell’Italia. In Galles il rugby è una cosa seria, per cui non era poi così importante scombinare un meccanismo che negli ultimi dieci anni ha funzionato bene. Wayne Pivac ha sostituito Gatland prendendo le chiavi di una macchina più che rodata. In più, cosa che non fa mai male, è circondato da uno staff tecnico competente e ricco di legami con il patrimonio genetico gallese dell’ultima decade. Il talento c’è, le idee chiare in termini di struttura di gioco pure. Il calendario invece non è che sia così benevolo. Si parte con l’Italia in casa e si prosegue con l’Irlanda in trasferta. Anche l’Inghilterra sarà affrontata lontano dal Principality Stadium. Due formazioni che non hanno digerito così serenamente gli schiaffoni presi dai dragoni rossi dello scorso anno e cercheranno la rivincita con tutte le loro forze. La squadra registra i graditi ritorni di Faletau e Webb, le new entry di Tompkins e Rees Zammitt e il consolidamento di tre stelle ormai mature come Wainwright, Navidi e Adams. Il secondo turno diventa cruciale: se arriva il risultato a Dublino possono nuovamente fare il vuoto. Classifica finale: terzo a 16 punti
QUI PARIGI. Fa effetto definire i galletti come degli outsider. Eppure ad oggi non sono altro che una squadra ricca di pepite da sgrezzare. Questo ci raccontano i media francesi. Possiamo fidarci? La risposta è no. Il sentiero che porta a #France2023 inizia adesso, anzi inizia domenica 2 febbraio nella sfida più intrigante di questo inverno ovale: Francia vs Inghilterra. Il nuovo nocchiero Galthiè ha fra le mani un gruppo di grandissima prospettiva, inoltre è tutelato da un Presidente federale che per la prima volta negli ultimi 5 anni ha indottrinato i potenti club del Top 14 a remare tutti nella stessa direzione. La nouvelle vague dei Dupont, Penaud, Ntamack è affiancata da atleti che stanno attraversando un periodo di forma eccelso come Thomas, Vakatawa, Ollivon. Dopo anni di kilo rugby sembra che i francesi stiano iniziando ad esprimere un rugby champagne, tanto rivisitato quanto efficace. Che possano fare lo sgambetto alla corrazzata inglese rimane un argomento complicato, però…c’è un però. Dal mondiale 2011 ad oggi i blues hanno sofferto i mali della propria essenza latina. Umorali, litigiosi, dispettosi. Invece adesso sembra che lo staff tecnico sia stato plasmato proprio per portare in carrozza verso nuovi successi la generazione dei fenomeni due volte Campioni del Mondo under 20. Molti di loro sono già pronti per l’alto livello internazionale e se domenica dovesse arrivare una vittoria con la perfida Albione mi gioco la Francia sul gradino più alto. Classifica finale: seconda a 18 punti.
QUI LONDRA. Il rapporto fra qualità e quantità spinge a pensare che l’Inghilterra sarà facilmente campione. Oltre ad aver disputato una grande RWC è l’unica squadra insieme alla Scozia ad aver mantenuto la stessa guida tecnica. E chi segue le cronache anglosassoni sa quanto il tocco di Eddie Jones sia fondamentale per le sorti del XV della Rosa. Considerati questi elementi introduttivi va capito quali siano i reali obiettivi dell’Inghilterra. Consolidare la leadership europea ad ogni costo? Oppure sviluppare un gruppo che possa progressivamente accogliere i nuovi talenti del futuro che prendono il nome di Hodges, Umaga, Smith (e mi fermo qui per brevità) ? Teoricamente sono in grado di fare entrambe le cose, anche se l’assenza di Vunipola pone subito qualche dubbio di sinergia fra i punti cardine della squadra. Come detto poco sopra per la Francia sarà Le Crunch a dettare il futuro del torneo. Stavolta a Parigi oltre che ad una buona fetta di torneo ci sarà da giocare anche per lo spettacolo, perché l’Inghilterra ha ampiamente dimostrato di essere una squadra capace di vincere le sfide con i più forti contando sulla polivalenza e non solo sul mero dominio fisico. Classifica finale: prima a 19 punti.
QUI DUBLINO. Insieme alla Scozia è la nazionale uscita peggio dall’avventura mondiale. Teorizzare una loro debacle assoluta però sarebbe un esercizio da stolti. Gli irlandesi hanno troppo orgoglio per finire stritolati fra le mura altissime dell’Aviva stadium. Detto del pathos che li accompagnerà nelle partite casalinghe, si fa necessaria una vivisezione di quello che rimane rispetto alla squadra che ha incantato il mondo nel 2018 e parzialmente convinto nel 2019. La cubatura è senz’altro solida: il gruppone di Leinster che compone almeno il 70% della rosa sta facendo faville in Europa e riporterà in maglia verde gli stessi temi tecnici affrontati in Pro 14 e Heineken Cup, magari arricchito dall’estro di Conway, Cooney e Stockdale. Il nuovo coach Andy Farrell non ha cambiato granchè rispetto al suo predecessore Schmidt, se non rispolverare Toner in seconda linea e introdurre un paio di giovani davvero interessanti come il tallonatore Kelleher e il numero 8 Doris. La squadra dunque è quella che tutto sommato conosciamo bene. Il difetto più evidente del mondiale è stato rintracciato nell’incapacità di far funzionare alla perfezione un piano di gioco costellato dalle manovre laboriose intorno alla cerniera Murray – Sexton e diventato ormai troppo prevedibile per gli avversari. Vero è che se questa Irlanda gioca sui principi e ritorna dominante nelle fasi di conquista, magari ispirandosi alle sue franchigie, diventa un cliente quasi impossibile in casa e molto rognoso in trasferta. La terza piazza sembra al momento il vestito più adatto. Classifica finale: quarta a 13 punti.
QUI EDIMBURGO. Nemmeno il tempo di iniziare l’avventura del Sei Nazioni e Finn Russell è già fuori dai giochi per presunta indisciplina. E’ vero che Russell non fa la Scozia, ma la Scozia ha un grande bisogno di Russell. Gli Highlanders sono la formazione che più è cresciuta nell’ultimo decennio in termini di consistenza e credibilità. Eppure il banco di prova della RWC è svanito al pari del Sei Nazioni 2019 che doveva essere quello della maturità. Townsend, confermato fra lo scetticismo generale, ha a disposizione del buon materiale umano non supportato da una quantità sufficiente per essere competitivo nell’arco di cinque gare. Il credo rugbistico di Tooney impone che gli scozzesi debbano maneggiare l’ovale con cura, costruire molteplici opzioni d’attacco, infiammare il pubblico. Spesso tutto ciò si concilia con il parametro dell’efficacia, a volte invece si scontra con la dominanza fisica degli avversari. Il pacchetto di mischia è composto da interpreti discreti e soffre la mancanza di un numero 8 di caratura internazionale. Sulla linea dei trequarti invece c’è tanta polvere da sparo, fra Hogg, Hutchinson, Johnson, Graham e il redivivo Huw Jones. Se superano l’esame attitudinale della Calcutta Cup e vincono a Roma possono dire di aver fatto il loro lavoro. E noi non vediamo l’ora di rompergli le uova nel paniere. Classifica finale: quinta a 6 punti.