Il raduno di Calvisano di lunedì 6 gennaio ha dato ufficialmente il via alla nuova gestione di Franco Smith. Mancano poco più di due settimane al calcio di inizio del Sei Nazioni 2020 e il cantiere Italia è in piena evoluzione.
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Cosa possiamo aspettarci dagli azzurri? Quali nuovi giocatori vedremo in azione?
Due domande semplici che riassumono la comprensibile curiosità degli appassionati a ridosso del più importante torneo ovale del continente. Le risposte poi non sono nemmeno troppo difficili, ma ci sono tanti elementi da tenere in considerazione, in primis il fatto che si giocherà un Sei Nazioni post Rugby World Cup. Con tutti gli esperimenti e gli equilibri internazionali da riscrivere del caso.
La nazionale italiana è ancora la sesta forza del torneo. Su questo non ci sono dubbi. Lo dice il ranking mondiale e lo racconta la trama degli ultimi 4 anni di Sei Nazioni in cui non siamo stati capaci di vincere nemmeno una partita. La realtà si fa ancora più dura quando consideriamo lo stato di forma delle franchigie in Guinness Pro 14 dove Benetton e Zebre sono penultime nelle rispettive conference ed escludendo il doppio derby d’Italia, sono state capaci di piegare rispettivamente solo Southern Kings, Edimburgo, Dragons e Cheetahs.
Va detto che le recenti prestazioni In Champions e Challenge hanno lanciato segnali moderatamente positivi. Il livello delle ultime due gare con Northampton e Stade Francais comunque non è attendibile per saggiare il duello a distanza con Inghilterra e Francia. Insomma, quando le franchigie non girano a dovere diventa poi difficile chiedere di fare i miracoli alla squadra nazionale. Gli attori dell’Italia sono quasi tutti gli stessi, solo in campo con casacche diverse, mentre la competizione per non soccombere all’ultimo posto del torneo se possibile si fa ancora più alta. Senza dimenticare che nei tabellini e nell’economia delle gare di Benetton e Zebre, sia in Pro 14 che in Coppa, c’è ancora una forte incidenza dei giocatori stranieri presenti in rosa, elemento questo su cui bisognerebbe estendere una riflessione più ampia.
La novità più grande come già detto è nella stanza dei bottoni. Franco Smith è un tecnico che conosce le dinamiche del nostro rugby e sa bene come ottimizzare le risorse delle squadre a sua disposizione. Il parco giocatori che ha gestito a Treviso e ai Cheetahs era sicuramente di buon livello, ma non infarcito di stelle internazionali. Ciò nonostante è riuscito a costruire un sistema di gioco che ha reso le sue formazioni riconoscibili, solide, in poche parole difficili da affrontare.
A Calvisano una settimana fa, davanti alla platea dei nuovi azzurri, non ha preso parola il nuovo Re Mida del rugby italiano, ma ha esordito un tecnico di campo che crede in soluzioni pragmatiche a problemi reali. Il primo di questi problemi è tornare alla vittoria. L’Italia infatti è l’unica squadra che non può permettersi esperimenti audaci, anzi dovrà inseguire almeno un risultato pesante che possa stemperare la foschia di negatività che aleggia intorno alla nazionale maggiore. Proprio per questa esigenza basilare, Smith potrebbe mettere in pratica quella conduzione razionale che lo ha contraddistinto negli anni di Treviso. Niente fronzoli, pochi sofismi disfunzionali al gioco, e forte accento sulle fasi statiche che sommate ad una difesa aggressiva potrebbero tenerci a galla almeno nei primi due durissimi match con Galles e Francia, per poi dedicare tutte le energie al terzo turno.
Il focus quindi passa immediatamente al match con la Scozia che si giocherà a Roma il 22 febbraio, cioè l’unico a cui possiamo ambire per rialzare le braccia al cielo, perchè anche se gli highlanders non ci sono realmente così vicini in termini di qualità complessiva, è legittimo aspettarsi che in piena fase di ricostruzione post mondiale possano arrivare a Roma un po’ più vulnerabili rispetto al recente passato.
Sul piano dei giocatori al momento è difficile aspettarsi delle novità. Fatta esclusione per Ceccarelli e Sgarbi che sembrano più scelte di valutazione, grandi sorprese rispetto al gruppo che ha giocato il mondiale non ci saranno. A meno che l’utilizzo calmierato di Parisse e il possibile avvicendamento di Tebaldi con Braley possano essere considerate notizie inaspettate. Nel 2016 Brunel coinvolse più di un giocatore proveniente dalla fu Eccellenza, oggi però di profili come Bellini e Odiete pronti per fare il triplice salto carpiato dalla dimensione del Top 12 a quella del Sei Nazioni non sembrano esserci.
La rosa quindi è già praticamente fatta. I migliori uomini delle franchigie insieme a Minozzi, Polledri, Parisse, Braley. I punti forti e i punti deboli del gruppo sono ancora una volta evidenti. Resta da capire come lo staff sarà capace di enfatizzare i primi e nascondere i secondi.
In vista dell’esordio di Cardiff possiamo contare su una terza linea abrasiva e decisamente in palla. Il trio Steyn, Negri, Polledri è il vero reparto chiave della nazionale e grazie al cielo arriva al Sei Nazioni (infortuni permettendo) con un netto progresso nel vigore fisico, rinforzato da prestazioni individuali di spessore da parte di tutti e tre i giocatori citati. Dietro di loro pulsa un Giovanni Licata in grande spolvero. Nel pacchetto le buone nuove però finiscono qui. In prima linea c’è un Marco Riccioni che sta prendendo confidenza e un Danilo Fischetti che ha dimostrato di avere la giusta faccia tosta per competere a quel livello. Da qui a pensare di essere dominanti contro tutte le altre mischie europee ce ne passa. Il resto degli attori, Ferrari, Lovotti, Traorè, Zani, Bigi, Fabiani li conosciamo. Stesso discorso in seconda linea, dove il problema del ricambio generazionale è parzialmente attenuato dall’inserimento di Niccolò Cannone nel primo gruppo allargato. Il giovane seconda linea fiorentino fa parte della stessa generazione di Fischetti, Biondelli, Zilocchi e racchiude molte delle qualità necessarie per una seconda linea di altissimo profilo. Lo aspettiamo con ottimistica curiosità.
Sulla linea dei trequarti l’infortunio di Campagnaro è una brutta tegola. Le alternative a secondo centro scarseggiano e molto probabilmente si dovrà ricorrere a soluzioni di emergenza con giocatori adattati o poco performanti nell’ultimo segmento di stagione. Fra di loro la garanzia diventa Tommaso Benvenuti che sembra aver ritrovato costanza e in questo momento interlocutorio si pone come il più papabile candidato alla maglia n.13. Il recupero di Sarto e Bellini sommato alla nuova linfa londinese di Minozzi invece sembrano essere le note liete di un reparto che ha sì perso Campagnaro ma al contempo ha ritrovato un Morisi solido in difesa e molto maturato nell’assunzione di responsabilità in campo. A estremo la prima scelta è sempre quella di Hayward che anche quando non brilla assicura una copertura della profondità molto accurata.
E la mediana? Le squadre di Franco Smith si sono sempre affidate a una cabina di regia che enfatizzava solidità difensiva e gestione precisa del piano di gioco. E soprattutto punti al piede. A numero 9 la scelta ricadrà gioco forza su chi è più in forma. Violi ha mixato cose buone ad altre meno buone. Tebaldi sembra sempre più un finesseur, ma ad oggi non è fra i primi convocati del gruppone di Calvisano. Palazzani è il back up per ogni evenienza, così l’attenzione si sposta su Braley. Il mediano di Gloucester però ha giocato fin qui solo 3 partite da titolare e arriva al Sei Nazioni con una consistenza ancora tutta da testare.
Capitolo Apertura. Ai tempi del Treviso di Franco Smith si sono susseguiti numeri 10 come Kris Burton, Alberto Di Bernardo, Matt Berquist, Willem De Waal, chi più creativo, chi meno, tutti però molto efficaci come calciatori dalla piazzola. Oggi chi può garantire qualità nella distribuzione dei palloni e percentuali alte di realizzazione? L’ultima uscita delle Zebre con i Cheetahs farebbe pendere l’ago della bilancia su Carlo Canna ai danni di uno spento e non troppo preciso Tommaso Allan. Anche se fosse solo questione di forma momentanea, la domanda resta attuale e ad oggi irrisolta.
Resta da designare il capitano. Un nodo da sciogliere esattamente come quello del futuro di Franco Smith. Se la FIR avrà la lungimiranza di affidare un progetto a lungo termine al coach sudafricano, allora potremo anche pensare ad un timoniere pronto a sostituire Parisse per gli anni a venire.
Ad oggi la soluzione forse più bilanciata è quella di Luca Morisi, 29 anni, un lungo calvario per riprendersi la scena con il Benetton e con l’Italia, ormai solido interprete del ruolo di trequarti centro. Per una squadra che deve trovare (o ritrovare) le sue certezze, potrebbe essere la scelta più azzeccata.