E’ passato quasi un mese dall’inizio delle amichevoli estive e la chiusura del cerchio di Newcastle ci porta diritti ad un bilancio complessivo in vista dell’esordio mondiale.
Andiamo per macroargomenti cercando di capire la situazione senza farsi prendere dal solito disfattismo o da un improbabile ottimismo.
I risultati.
Verrebbe da dire i risultati prima di tutto. Assuefatti dal filotto di sconfitte con le nazionali tier 1 ci stiamo dimenticando che i numeri contano eccome. In un mese di partite è arrivata una vittoria netta con la Russia e tre sconfitte con Irlanda, Francia e Inghilterra. Il pallottoliere recita 128 punti subiti e 114 realizzati, però con l’abbuffata di San Benedetto che da sola ne vale 85. Nel 2019 il conto sul piatto è di un successo e otto sconfitte, di cui nessuna con meno di sette punti di scarto. Il divario con le cinque sorelle del Sei Nazioni è ancora largo e non accenna a diminuire.
Le prestazioni.
Se ci limitiamo ai quattro Warm Up Matches giocati fra agosto e settembre diventa molto difficile giudicare sufficienti le prestazioni della nazionale italiana. A fronte della facile vittoria con la Russia non è arrivata nessuna performance tale da strappare applausi a scena aperta. Va detto che a Newcastle i ragazzi di O’Shea si sono sacrificati almeno nelle fasi di affrontamento e tutti sappiamo quanto sia dura confrontarsi con una batteria di giocatori come quella inglese tremendamente feroce sul piano fisico. Questa attitudine però non si è vista né a Dublino né a Parigi. E proprio da queste due gare sono arrivati i segnali più preoccupanti. Quando gli avversari cambiano ritmo, noi non siamo capaci di arginarli. Gli ottimisti potrebbero ricordarci che si trattava di partite sperimentali, ma pensare che per una squadra come la nostra esistano incontri in cui è possibile gestire le forze e provare soluzioni tattiche alternative risulta essere un esercizio di pensiero poco credibile.
Gli uomini.
Dopo il match con la Russia è arrivata la lista di O’Shea con i 31 uomini per il Giappone. C’è poco da dire: nessuna sorpresa. I giocatori che ad oggi possono vestire l’azzurro sono questi. I dubbi infatti non sono sulle scelte quanto sulle opzioni a disposizione dello staff. Emerge ancora una volta il quadro precario di alcuni atleti del pacchetto di mischia sostanzialmente fuori ruolo. Sia chiaro, tutti i ragazzi meritano grande rispetto, ma è evidente per esempio che Budd e Zanni sono due terze linee prestate in seconda così come la soluzione di Zani (giù il cappello per la duttilità e la voglia che mette in campo) a tallonatore è un assetto di emergenza che va a colmare la presenza traballante di Ghiraldini. La squadra ha recuperato il fosforo di alcuni trequarti infortunati come Campagnaro, Bellini, Minozzi ma questo non basta. Soprattutto contro la Francia hanno dimostrato di avere una forte volontà che al momento mal si concilia con la facilità di battere i diretti avversari a cui ci avevano abituato. Minozzi ha la giustificazione del lungo infortunio, oltre il padovano però va segnalato un Benvenuti propositivo con l’Irlanda. E poi? Non grandi prestazioni fra i trequarti tali da rassicurare lo staff e i tifosi. In alcune posizioni dunque ci sono delle disparità abbastanza marcate fra titolari e backup. Tutti sappiamo quanto per essere competitivi nel grande circo del rugby internazionale sia necessario avere 31 giocatori al top della forma messi nelle condizioni tecnico – tattiche di esprimersi al meglio. Con le premesse di cui sopra siamo in grado di salire su questa giostra?
Cosa succede. Il qui e ora.
La nazionale italiana di rugby è una squadra che si trova in una posizione a dir poco scomoda. A metà del guado fra le corrazzate del Tier 1 e le formazioni rampanti del Tier 2. Purtroppo non è una terra di mezzo particolarmente divertente e le continue sconfitte sono lì a ricordarcelo. Vista la qualità delle contendenti non possiamo fare inutili drammi e nemmeno raccontare che sta andando tutto bene. La ricetta unica è quella del lavoro senza compromessi. In questa prospettiva a lungo termine però emerge un elemento che preoccupa in vista del futuro. Si ha come l’impressione che questa squadra manchi di identità. Se facciamo un rapido flashback con le precedenti gestioni tecniche ci accorgiamo che seppur in un quadro mai troppo vincente, un qualche X Factor nella squadra c’era. Il periodo di Berbizier non ha lasciato spazio allo spettacolo, ma sui principi cardine del gioco eravamo una squadra temibile. Trequarti da plasmare accanto ad un pacchetto di mischia abrasivo e riconoscibile da tutti. Con Mallett i risultati raccolti sono stati pochi, ma anche qui abbiamo avuto l’impressione che il focus fosse puntato sul miglioramento dell’organizzazione difensiva cercando poi di ottimizzare le poche risorse a disposizione con i primi otto uomini di mischia ancora molto rispettati su scala internazionale. Da Brunel in poi siamo invece alla ricerca di questo benedetto equilibrio fra i reparti e adesso di un miglioramento delle capacità fisiche attraverso il mantra del Fitness. I problemi però sono più semplici di così e forse proprio per questo più preoccupanti. I nostri primi cinque uomini si stano allontanando dallo standard fisico e prestativo dell’alto livello. Finchè non saremo in grado di ricostruire un pacchetto capace di mettere sistematicamente in difficoltà gli avversari nella fasi di conquista non è pensabile un drastico cambio di rotta. Le partite si vincono in trincea e quando avevamo a disposizione i gladiatori della generazione dei Castrogiovanni, Perugini, Nieto, Dellapè ecc. non siamo stati abbastanza bravi nel cucire intorno a loro una squadra che ne capitalizzasse le qualità agonistiche. Oggi mostriamo più equilibrio, solo che lo facciamo al ribasso e se gli azzurri non trovano un avversario blasonato in evidente giornata no, perdono e lo fanno anche in maniera anonima. Abbiamo bisogno di tornare ad esprimere delle peculiarità tecniche che ci caratterizzino e ci rendano pericolosi, anche a costo di perdere qualcosa in omogeneità. Il mondiale è un evento dal futuro già scritto, ma dietro abbiamo una generazione che freme per salire alla ribalta e vincere. In Giappone siamo attesi da un’operazione di recupero credibilità. Serve farlo qui e ora.