Alla vigilia dell’inizio del campionato francese di Pro D2 abbiamo intervistato Edoardo Iachizzi, nato a Roma 21 anni fa, proveniente dalla florida scuola di rugby dell’ U.R. Capitolina ed oggi in forza all’Usap Perpignan. Il seconda linea, già azzurro under 20, fa parte della squadra catalana appena retrocessa dal Top 14. Tradizione e mezzi tecnici collocano gli “Arlecchini” fra le squadre favorite del Pro D2. Un club che nel tempo ha sperimentato il legame con l’Italia schierando gli azzurri Tommaso Allan e Tommaso Benvenuti e in un passato abbastanza recente affidando la guida tecnica del pacchetto di mischia a Giampiero De Carli. Come procede l’esperienza del giovane seconda linea nella regione occitana ce lo spiega direttamente Edoardo.
Finito il periodo delle amichevoli, un nuovo campionato è alle porte. Come sta procedendo la tua vita a Perpignan?
Molto bene. Vivo un rugby diverso e soprattutto un ambiente diverso. Perpignan è un luogo che respira rugby ad ogni angolo della città e per me che ero abituato a una metropoli come Roma, dove il calcio monopolizza l’interesse della gente, questa differenza può solo farmi bene. Tutto funziona perfettamente e lo staff è sempre al lavoro per facilitare il percorso dei giocatori, sia dentro che fuori dal campo. In più sono all’interno di un contesto a tutti gli effetti internazionale, pieno di giocatori che provengono dalle aree rugbistiche più importanti del mondo . Il fatto che molti degli atleti in rosa siano stranieri ha un grande valore sul piano umano ancor prima che sportivo.
Come sei arrivato a giocare in Francia già dalla categoria giovanile?
Tutto inizia tre anni fa, dopo aver giocato in amichevole a Strasburgo contro la Francia Under 18 sono stato contattato da un agente del Perpignan che mi ha proposto di trasferirmi in Francia per entrare a far parte del Centro di Formazione dell’Usap. Era il gennaio 2016 e ho subito pensato che potesse essere un’occasione unica ed ho accettato l’offerta.
Hai terminato la scuola superiore in Francia? Stai proseguendo un percorso di studi universitario?
Ho ottenuto il diploma di maturità in Italia grazie alla collaborazione della Preside del mio Liceo. In pratica ho seguito le lezioni a distanza con un metodo interattivo per poi dare l’esame finale in Italia insieme ai miei compagni di classe. Oggi sono iscritto alla facoltà di Storia, anche se come prima opzione ho provato a seguire i corsi di Economia. Il poco tempo a disposizione per gli impegni di club mi ha portato poi a scegliere una facoltà un po’ più affine agli studi precedenti del Liceo Classico.
Sta per iniziare la tua quarta stagione a Perpignan. Dopo tre anni di permanenza Oltralpe hai pensato ad un eventuale ritorno in Italia?
Il mio contratto finirà al termine della stagione 2019/20. Devo essere sincero, ho un occhio sempre rivolto all’Italia perché è il mio paese, perché lì c’è la mia famiglia e perché in Italia sono cresciuto sportivamente, anche se oggi cerco di vivere il presente e di proseguire la carriera lasciando tutte le porte aperte. Decisioni in merito arriveranno più avanti e dipenderanno da quanto e come riuscirò a giocare in questa stagione. Se qualcuno si farà vivo dall’Italia prenderò in considerazione ogni eventualità. Per adesso rimango concentrato sugli impegni agonistici del Pro D2.
Proprio in Pro D2 hai già esordito contro Nevers due anni fa. La scorsa stagione ti è mancata la presenza in Top 14, ma non in Challenge Cup dove hai accumulato un buon minutaggio. Che obiettivi personali hai per questa stagione?
Farò di tutto per ritagliarmi uno spazio gradualmente più significativo. Sempre con i piedi per terra, perchè so bene che i miei compagni di reparto sono giocatori forti e affidabili. Va detto che la Pro D2 è un campionato tanto lungo quanto agguerrito e credo di avere delle possibilità per essere anche io protagonista cercando di ripartire dalle buone cose fatte nella scorsa stagione. Ho giocato quattro partite di Challenge Cup, di cui due da titolare per ottanta minuti, e i feedback da parte dello staff tecnico sono stati rassicuranti. La squadra ad oggi parte con una batteria di 7 seconde linee e 9 terze linee, tutti in larga parte confermati dalla stagione scorsa, con l’aggiunta di un giocatore di spessore come l’ex Clermont Damien Chouly che garantisce una notevole esperienza al pacchetto di mischia. In questo gruppo dalle indiscusse qualità cercherò di mettermi a disposizione dello staff nel migliore dei modi.
Visto il tuo passato con le nazionali giovanili e gli esordi nelle Coppe Europee, puoi essere considerato a tutti gli effetti un giocatore di interesse nazionale. Hai ricevuto contatti dai selezionatori azzurri da quando sei in Francia?
Si ci sono stati dei contatti con l’Italia. Già dal periodo della nazionale under 20 venivo monitorato con cadenza settimanale, adesso magari la frequenza è un po’ calata, ma credo che la ragione sia del tutto comprensibile visto che gli impegni con le squadre azzurre non ci sono più. Mantengo un ottimo rapporto anche con i miei ex compagni di nazionale under 20 e questo aspetto lo ritengo altrettanto importante perché testimonia quanto quel gruppo che ha fatto bene ai mondiali 2018 sia ancora oggi affiatato.
Su quali aspetti lo staff tecnico dell’USAP pone il maggior accento? E su cosa ti senti migliorato rispetto a quando giocavi in Italia?
In settimana si lavora molto il dettaglio tecnico all’interno di un piano di gioco molto strutturato. La predisposizione delle strategie da mettere in campo è un punto focale della preparazione dei match. Lo era in Top 14, lo è in Pro D2. Ogni aspetto particolare dell’attività di reparto deve essere curato per diventare funzionale al game plan. Personalmente ho fatto un salto doppio e mi sono dovuto adeguare in fretta perché sono passato dal livello under 18 italiano a quello Espoir (le cosiddette “speranze” o giocatori emergenti). L’anno in cui sono arrivato ci siamo laureati Campioni di Francia e il confronto con una così alta velocità di gioco e di esecuzione dei gesti richiedeva un periodo di adattamento molto breve per stare al passo degli altri. Il tempo effettivo delle partite Espoir tende all’alto livello, si cerca di giocare tutti i palloni a disposizione, ma soprattutto si va veramente molto forte sul piano dell’intensità. Per questa ragione credo di aver migliorato molto la capacità di giocare su ritmi elevati.
Perché è così importante la categoria Espoir per i club francesi?
Perché le società investono tanti soldi su quel torneo. E’ considerato come una competizione ideale per testare le qualità dei giocatori che verranno proiettati nel mondo professionistico e questo lo si capisce dal mercato giocatori che imperversa anche a livello under 23. Ci sono squadre che arrivano a mettere in rosa fino a 50 giocatori, di cui molti provenienti dalla Georgia o delle Isole del Pacifico. Questo accade perché gli atleti che non sono nati in Francia dopo tre anni diventano giocatori di formazione francese e in sostanza liberano posti agli stranieri delle prime squadre. Anche io da questa stagione sono un giocatore di formazione francese, cosa che non ero nella stagione passata quando si era palesata la possibilità di esordire in Top 14. Con questo meccanismo si fanno crescere sia i giovani del territorio che delle potenziali promesse straniere, mettendoli sotto contratto e garantendo loro una copertura economica sufficiente per fare il giocatore full time.
Cosa significa essere un giocatore di rugby professionista in una piazza storica e calda come quella di Perpignan?
A Perpignan il rugby è vissuto in maniera viscerale. Tra due giorni giochiamo il primo turno di campionato e sarà subito derby con Beziers. Basta aprire le pagine social network delle due squadre e ci si accorge immediatamente che le schermaglie dei tifosi faranno da preludio ad una partita molto sentita da ambo le parti. D’altronde Perpignan è un oasi ovale circondata da altre realtà che vivono solo di rugby. Il calcio in questa parte di Francia non è contemplato e noi giocatori sappiamo che portiamo sul campo la spinta di una comunità molto fiera. Quando vinci va tutto bene, ma quando perdi devi ricordare che fai parte di una società gloriosa con sette scudetti in bacheca, di cui l’ultimo nel 2009. I tifosi non hanno mai fatto mancare il sostegno anche in una stagione negativa come quella scorsa, lo stadio era comunque molto popolato, ma sappiamo che giocare a rugby per l’Usap significa anche avere delle pressioni. In Italia siamo abituati a certi comportamenti solo quando si parla di calcio, mentre qui con le dovute proporzioni, tutti i tifosi comprano il merchandising della squadra, riconoscono i giocatori per strada e sui balconi delle case sventolano i colori giallo rossi. A Perpignan in sostanza il rugby è un elemento caratteristico del territorio.
Ultima domanda, forse un po’ scontata, ma doverosa. Il tuo sogno nel cassetto?
Mentre stiamo parlando ho di fronte a me la maglia azzurra indossata in under 20. Mentirei se non ti dicessi che ho il desiderio di vestire l’azzurro della nazionale maggiore.