Il Rugby Championship 2019 è iniziato da due settimane nel più tradizionale clima da vedo / non vedo che ogni quattro anni contraddistingue il periodo antecedente alla Coppa del Mondo. Le regine dell’Emisfero Sud sono adesso impegnate a dimostrare competitività agli occhi del mondo, ma non possono al contempo uscire allo scoperto con tutti i pezzi pregiati del repertorio. Scendono in campo formazioni sperimentali, i minutaggi sono controllati e fra gli staff vige grande prudenza nell’utilizzo dei giocatori. Soprattutto per evitare spiacevoli infortuni. Una cautela che non è servita a preservare Brodie Retallick, fra gli uomini insostituibili di Steve Hansen, che esce di scena al secondo turno del Championship a causa di un pericoloso infortunio alla spalla. Paura e scongiuri adesso attanagliano il management della Nuova Zelanda e di tutte le altre nazionali qualificate alla RWC.
Il vero punto focale del segmento di tempo che ci separa dal Mondiale è quindi rappresentato dalla capacità degli staff nel mantenere invariato lo status quo delle proprie squadre.
Flashback.Il mondiale inglese del 2015 verrà ricordato come un evento caratterizzato dagli infortuni e dalle relative defezioni dei top players. In particolar modo Galles ed Irlanda dovettero affrontare gli impegni ad eliminazione diretta con Sudafrica ed Argentina in piena emergenza sanitaria. Come è andata a finire poi lo sappiamo tutti: Springboks e Pumas in semifinale mentre Gatland e Schmidt furono costretti a tornare a casa con la coda fra le gambe. Anche gli azzurri nel loro piccolo non furono esenti dagli infortuni di peso con le assenze obbligate di Masi (tendine d’achille), Ghiraldini (stiramento), Parisse (polpaccio). Prima di loro avevano alzato bandiera bianca Billy Vunipola (Inghilterra), Jean De Villiers (Sudafrica), Yoan Huget (Francia), Will Skelton e Wycliff Palu (Australia), solo per citarne alcuni dei 22 atleti totali che furono costretti ad abbandonare la RWC. Nel 2011 furono 11. La metà.
Possiamo quindi affermare che la Coppa del Mondo 2015 ha fatto registrare un incremento degli infortuni rispetto alle altre edizioni? Si. anche se si tratta di un dato parzialmente vero. Tra la percezione dell’aumento generale di lesioni e i numeri che vanno nel dettaglio infatti c’è una bella differenza. Non tutti gli infortuni hanno lo stesso peso in termini di gravità.
Il mondiale alza nettamente lo standard di fisicità e collisioni rispetto a qualsiasi altra competizione internazionale. E’ un dato di fatto. Questo standard di prestazioni però rimane pressoché invariato da molto tempo. Lo dicono i dati di World Rugby che confermano una tendenza stabile fra le misure antropometriche dei giocatori registrate nei mondiali del 2007, del 2011 e del 2015. Confrontando le finali mondiali si può tornare indietro addirittura fino al 2003 e trovare una coppia di ali australiane che in bilancia facevano registrare rispettivamente 103 kg e 107 kg . I due colossi prendevano il nome di Lote Tuqiri e Wendell Sailor, mentre dodici anni dopo sempre fra le fila degli Wallabies il peso dei terminali offensivi Ashley Cooper – Mitchell non raggiungeva i 100 kg . Dunque i giocatori sono grandi, grossi e veloci praticamente in egual maniera ormai da almeno 12 anni. Anzi, in alcuni ruoli la tendenza di oggi è quella di cercare sempre più il prototipo del giocatore multitasking a discapito del caterpillar capace di fare la differenza quasi esclusivamente in funzione di una straripante fisicità.
Le metodologie di allenamento si sono affinate e le nazionali che preparano la kermesse iridata hanno posto una cura sempre più certosina alla prevenzione dei traumi durante il periodo di avvicinamento al mondiale. Su questo il dato è significativo. Nel 2007 gli infortuni durante le sessioni di allenamento prima e durante la Coppa del Mondo furono 35. Nel 2015 si fermarono a 20.
I dati forniti dal centro studi di World Rugby segnalano che le lesioni ai legamenti del ginocchio, considerate fra le più invalidanti, sono più o meno stabili dalla RWC 2007 (16), passando alla RWC 2011 (14) fino alla scorsa RWC 2015 (17). Aumenta però del 32% la quantità dei giorni di lontananza dai campi a causa delle patologie del ginocchio, così come aumenta (ed è il dato più allarmante) la percentuale di concussion ed infortuni in zona collo/cervicale. Nel 2007 sul totale degli infortuni si registrava un 3% di concussion, il 9 % nel 2011, il 14 % nel 2015.
Eppure, nonostante il quadro statistico relativamente stabile, ci sono delle squadre che a causa dell’alto numero di infortuni hanno dovuto stravolgere le loro ambizioni. Proprio il Galles nel 2015 ha pagato dazio più di ogni altro per le perdite prima e durante il mondiale. Nel dettaglio Tyler Morgan, Dan Biggar, Scott Baldwin entrarono nella lista dell’infermeria durante il quarto di finale con il Sudafrica. Jonathan Davies, Leigh Halfpenny e Rhys Webb avevano dovuto abbandonare le velleità di partecipare alla RWC a causa di tre infortuni a lungo termine, di cui due procurati nel Warm Up Match di Cardiff contro la nazionale italiana. Il lungo bollettino dei dragoni infortunati prima o durante il mondiale inglese comprendeva anche Liam Williams, Cori Allen, Rhodri Jones, Hallan Amos, Scott Williams, Eli Walker. Il grande orgoglio di Warren Gatland impedì al tecnico neozelandese di prendere in considerazione davanti ai microfoni l’assenza di giocatori chiave come un alibi per l’uscita ai quarti di finale della RWC. In realtà fu palese che a ranghi completi forse avremmo potuto assistere ad un Galles più forte e probabilmente ad un risultato differente.
Forse lo staff gallese ha sbagliato qualcosa nella gestione dei giocatori prima del Mondiale? Forse si è trattato solo di sfortuna? Una cosa è certa: per arrivare a giocarsi il titolo iridato non è più sufficiente avere un piano A ed un piano B. Quante squadre possono permettersi di richiamare Stephen Donald da una vacanza in barca e poi proiettarlo in campo per segnare il calcio della vittoria mondiale? Un XV d’Irlanda già nel 2015 molto competitivo dovette rinunciare a Sexton, O’Brien (squalificato), O’Mahony, O’Connell proprio per il match decisivo con l’Argentina. Quattro monumenti difficilmente sostituibili che a conti fatti erano capaci di fare la differenza come nessun altro in quel momento. E’ inutile negare che fra le squadre in lizza almeno per il raggiungimento dei quarti di finale non tutte siano in grado di garantire uniformità di prestazione cambiando gli interpreti in campo.
Lo spauracchio infortuni oggi viene gestito con dei periodi di recupero che, almeno per i giocatori considerati determinanti, si fanno sempre più lunghi. Dopo il Sei Nazioni 2019 gli atleti più influenti delle nazionali sopra citate che rispondono al nome di Alun Wyn Jones e Jonathan Sexton sono stati messi sotto naftalina dalle proprie franchigie per poi tornare in campo solo quando la posta in palio diventava alta. Vedi Sexton che ha fatto capolino in semifinale e finale di Heineken Cup per poi ritornare in lista gara per l’atto conclusivo del Pro 14. Alun Wyn Jones, complice una stagione deludente degli Ospreys, è sostanzialmente sparito dai tabellini del Pro 14. Nel mezzo per loro tanto recupero attivo.
Sembra dunque chiaro che le federazioni più ambiziose vogliano garantire ai giocatori chiave del proprio team un raggiungimento del picco di condizione psico fisica a partire dal 20 settembre 2019 fino al 2 novembre 2019 evitando rischi inutili e lavorando sodo sulla profondità della rosa. Questo è il solo ed unico Piano A realisticamente in mano agli allenatori. Non è una certezza, ma un a concreta possibilità: chi saprà uscire indenne dal labirinto degli infortuni potrà seriamente candidarsi ad alzare la prossima Webb Ellis Cup.