Per una squadra abituata al successo come lo Stade Toulousain, gli anni di anonimato che hanno caratterizzato le ultime sette stagioni sono stati dolorosi. I tifosi, immalinconiti dal lungo processo di rifondazione, sospiravano alla memoria dei tempi andati, di Guy Novès, delle finali di Champions Cup. Da qui, si evince facilmente il perché un fiume di oltre 15mila persone abbia gremito Place du Capitole, nel pieno centro della ville rose, per festeggiare la riconquista del trono di Francia.
In un contesto come quello del Top 14, massimo campionato francese caratterizzato da un gioco estremamente fisico e speculativo e da milioni di euro di budget spesi per assicurarsi fior di giocatori provenienti da ogni angolo del globo, Tolosa ha vinto con un progetto fondato su un nucleo di giocatori giovani cresciuti nel club, a cui si sono unite alcune stelle internazionali, e su un gioco sempre propositivo, ai limiti dell’autolesionismo nei casi in cui si pecchi di accuratezza, prendendosi dei rischi necessari a scardinare le difese coriacee di tutto il campionato.
Ha funzionato: lo Stade ha riconquistato il Bouclier de Brennus coronando un’annata dove è parsa costantemente la squadra più forte d’Oltralpe, ma anche la più bella ed emozionante. E tutto questo in un’annata dove una corazzata come il Clermont aveva scelto di ricordare a tutte le altre compagini del torneo che il buco nell’acqua della stagione precedente fosse solo l’allineamento di tante circostanze sfortunate.
Sono state le due superpotenze storiche del Top 14, alla fine, a giocarsi la finalissima dopo aver marciato solitarie in vetta alla classifica per tutta la stagione regolare: nella finale di Parigi, davanti a oltre 70mila tifosi corsi ad assistere allo scontro finale di due squadre votate all’attacco, la superiore qualità e convinzione della squadra in rosso e nero ha avuto la meglio.
Quella del Tolosa è una restaurazione rivoluzionaria: per tornare al dominio tradizionalmente espresso sul campionato francese, la squadra si è dovuta reinventare, ricostruire e abbracciare un rugby moderno, mettendo insieme giocatori eclettici ad altri più ruvidi, imprevedibilità al fianco di duro lavoro da miniera.
Ventitré vittorie su 28 partite giocate, 106 mete segnate, 864 punti segnati, +332 di differenza punti aggregata: i rouge-et-noirs hanno messo a ferro e fuoco il Top 14 come Daenerys Targaryen con Approdo del Re. Fra dothraki arrivati dall’altra parte del mondo, fieri veterani di mille battagli e giovani destinati ad un futuro glorioso, abbiamo scelto tre storie simbolo delle diverse anime che hanno composto la squadra che si è seduta sul trono di Francia.
Un piccolo saggio di ciò di cui stiamo parlando
Uno: Thomas
Tolosa la giovane. Tolosa la casa di Antoine Dupont e Romain Ntamack, due predestinati: il primo ha esordito in Top 14 a 17 anni, l’altro ha il marchio del figlio d’arte che sarà capace di superare il padre.
Tolosa, però, il titolo lo ha vinto grazie soprattutto a Thomas Ramos, anni 23, il meno indirizzato verso il successo dei giovani della scuderia rouge-et-noir. Un giocatore fisicamente normodotato, atleticamente discreto ma non eccellente, eppure tatticamente preciso, tecnicamente esaltante, intelligente e fantasioso, quasi un personaggio da Ritorno al futuro per le sue caratteristiche.
Ramos nasce a Mazamet, amena cittadina di meno di diecimila abitanti a venti minuti da Castres. Ora, per essere appunto una amena cittadina di meno di diecimila abitanti, Mazamet ha una produzione sportiva di insospettabile livello, in particolare per quanto riguarda la palla ovale. Gli appassionati delle due ruote del luogo, infatti, possono vantare la nascita di Laurent Jalabert, e del meno celebre fratello Nicolas, a testimoniare le due passioni più pressanti di quella porzione di Francia: ciclismo e rugby, due sport di popolo per definizione.
Ecco una breve incursione nell’Olimpo rugbystico di Mazamet: era del posto l’abate Henri Pistre, altrimenti noto come il Papa del rugby. Succede che, al momento di essere ordinato prete nel 1923, una delegazione di giocatori dell’Albi, dei quali era stato compagno negli anni del servizio militare, si presenta alla cerimonia. Gli consegnano un pacchetto. Nel pacchetto c’è un servito da dodici posate d’argento, avvolte nella bandiera gialla e nera dello Sporting Club Albigeois. Cinematograficamente, a Pistre scende una lacrima mentre, per tutta risposta, si sbottona la parte alta della veste clericale, rivelando al di sotto la consunta, slavata uniforme della squadra.
Era del posto anche Lucien Mias, leggendario capitano della Francia degli Anni Cinquanta, che portò al successo nella prima, storica tournée dei Bleus in Sudafrica. Soprannominato Docteur Pack, è noto soprattutto per tre cose: aver conquistato il Cinque Nazioni 1959, primo successo in solitaria per la Francia (che nel ’54 aveva già vinto, ma a pari merito con Galles e Inghilterra); la sua luminosa carriera di medico dopo essere uscito dall’ambiente ovale; l’interminabile energia con cui animava i ruggenti terzi tempi del dopoguerra.
Nessuna sorpresa dunque che il giovane Ramos si indirizzi verso il rugby. Fino a quindici anni gioca a Mazamet, poi i suoi talenti lo portano a Tolosa, la città più grande nei dintorni, il club più importante del Paese. Nota storica per gli impallinati di corsi e ricorsi: Ramos lascia Mazamet quando nel club cittadino arriva a concludere la propria carriera Alessandro Stoica, 71 presenze e 55 punti con la maglia dell’Italia.
Tolosa, dicevamo. Nella ville rose Ramos fraternizza con il coetaneo Arthur Bonneval, ma quando le cose incominciano a farsi più serie il club decide di puntare fortemente su quest’ultimo, piuttosto che sul ragazzo arrivato dalla provincia. Nonostante l’esordio con meta a 18 anni in Top 14, la sua carriera non decolla: anzi, l’arrivo di Ugo Mola nel 2015 sembra peggiorare le cose per lui: nonostante le assenze per la coppa del mondo di quell’anno, Ramos non raccoglie che una presenza nelle amichevoli prestagionali, e non giocherà più in quella stagione. L’anno successivo finisce spedito in prestito a Colomiers, in ProD2.
Quando si ripresenta a Tolosa l’anno successivo, Ramos porta con sé 24 presenze, di cui 23 da titolare, il titolo di miglior marcatore della stagione con 84 punizioni, 34 trasformazioni e 5 mete, e il premio come Miglior giocatore del ProD2 per la stagione 2016/2017. La discesa nella giungla selvaggia della seconda serie lo ha sbloccato: Thomas Ramos adesso è un altro giocatore, e il Tolosa un progetto che si mette in moto. Nel 2017/2018 la squadra chiude al terzo posto, Ramos gioca 24 partite e segna 6 mete: è l’estremo titolare, con qualche sporadica apparizione anche in cabina di regia, come mediano di apertura.
La stagione appena conclusasi, trionfale, è quella della definitiva consacrazione, fra la convocazione in nazionale al Sei Nazioni e il titolo di campione di Francia, ottenuto con una magistrale prestazione in finale, con la maglia numero 10 sulle spalle. Ha giocato apertura le partite più importanti della stagione, le ultime quattro. D’altronde la polivalenza è una caratteristica studiata a tavolino in questo Tolosa: Dupont fa il 9 e il 10, Ramos il 15 e il 10, Ntamack è un 10 e un 12, Tekori gioca seconda e terza linea, e così via. Ci sono ben quattro giocatori in rosa che possono prendere le redini della squadra giocando da mediano d’apertura, e possono anche coesistere tutti contemporaneamente in campo: questa è una rivoluzione.
Dopo la finale, dalle sue vive parole: “[Vincere il campionato] è un sogno d’infanzia che si realizza. Ho fatto dei sacrifici quand’ero più giovane, sono partito molto presto da casa mia e mi sono messo in gioco tre anni fa andando a Colomiers perché non c’era posto per me al Tolosa. Oggi posso dire che è stata la miglior cosa che potessi fare nella mia carriera. Non ci ho passato che un anno ma ho l’impressione che siano stati quattro, ho accumulato esperienza e una pazzesca fiducia in me stesso. Se fossi rimasto allo Stade Toulousain, forse adesso non sarei qui oggi. Giocare mi ha permesso di prendere enormemente fiducia in me, oggi è la consacrazione.”
Ah, e poi c’è lo schiaffetto
Due: Sofiane
“Sono nato in Algeria, da una famiglia numerosa. Con i miei genitori vivevamo in sei in pochi metri quadrati. Siamo arrivati in Francia e mio padre, che era poliziotto in Algeria, si è messo a fare il muratore. I miei genitori hanno fatto molti sacrifici perché noi figli potessimo avere un bel futuro. E io penso che oggi abbiano vinto la loro scommessa.”
Sofiane Guitoune è l’araba fenice di questo Tolosa. In tre anni sulle rive della Garonna, è la prima, vera volta in cui il giocatore riesce a dare il suo contributo alla squadra.
Guitoune esplode rugbysticamente ad Albi, in ProD2, fra il 2010 e il 2012. Il Perpignan nota la sua corsa, i suoi appoggi leggeri nonostante la potenza sviluppata, e decide di portarlo nella massima divisione. Qui, il talento cristallino del 23enne trequarti viene messo immediatamente alla prova dalla rottura del legamento crociato del ginocchio destro alla prima giornata di campionato. Tornerà per disputare alcune partite nel finale di stagione.
Recupera per la stagione successiva e la partenza della sua seconda annata è poderosa: segna 7 mete nelle sue prime 12 presenze dell’anno sportivo 2013/2014, durante il quale incrocia la strada di due Azzurri, Tommaso Benvenuti e Tommaso Allan.
Inevitabilmente, la nazionale francese bussa alla sua porta e lo fa esordire in novembre: meta dopo 6 minuti dall’ingresso in campo, man of the match nella vittoria contro Tonga. L’allora CT Saint-André lo vuole per il Sei Nazioni, ma Guitoune si rompe il tendine d’Achille in un incontro di Heineken Cup contro Gloucester, dov’è inaspettatamente schierato numero 10, lui che ha sempre giocato ala con i catalani.
Il nuovo stop e la retrocessione del Perpignan lo induce a cambiare aria, per l’anno successivo firma con Bordeaux. Ottiene la sua prima presenza al Sei Nazioni con la Francia, e nonostante un infortunio in quella partita, riesce comunque a giocare finalmente con continuità al club, ottenendo 21 presenze. Nella seconda stagione a Bordeaux ottiene appena 12 presenze, segnando 4 mete. La sua carriera sembra il paradigma della promessa tradita dal proprio corpo, in un crescendo di malinconia che raggiunge l’apice quando firma per lo Stade Toulousain: ha un contratto di tre anni, ma spende i primi due in infermeria. Appena cinque presenze il primo anno, afflitto da un fastidiosissimo infortunio agli adduttori, ottiene 16 presenze nella sua seconda stagione, ma il Sofiane Guitoune che volava a Perpignan è un lontano ricordo. Non sono in molti rimasti a credere in lui, probabilmente neanche lui stesso.
Sofiane Guitoune, 2018/2019: miglior marcatore di mete del Tolosa campione di Francia, spostato nel ruolo di secondo centro diventa il punto fermo nella girandola della backline tolosana ed è uno dei giocatori con il minutaggio più alto del club, con 31 presenze da titolare su 31 partite giocate e la folle cifra di 16 mete, più di una ogni due partite.
Jacques Brunel, o chi per lui abbia fatto davvero le scelte per l’Equipe de France che va al mondiale, lo vuole a bordo: Mathieu Bastareaud sta a casa, in Giappone ci andrà Sofiane Guitoune.
Prima della finale, intervistato da RMC Sport, profetico: “Gli infortuni sono dietro di me. Non ci penso, non sono un tipo rancoroso, o amaro. Sono cose che succedono nella vita, è così. Sono delle prove. Bisogna saperle superare. Sarebbe un peccato se fosse tutto rose e fiori. Ho incontrato persone superbe durante quel brutto periodo.”
“A proposito di aneddoti divertenti, quando ero a Clairefontaine per la rieducazione dopo la mia pubalgia, nel 2017, c’erano due calciatori: Gaëtan Charbonnier e Thibault Jacques. Quest’anno, con il Brest, Gaëtan Charbonnier è stato il miglior attaccante della Ligue 2 ed è stato promosso in Ligue 1. Thibault Jacques, con Chambly, è stato promosso in Ligue 2 ed è stato eletto miglior difensore del National [la terza serie del calcio francese]. Parliamo spesso e loro hanno concluso le loro stagioni. E ora mi mettono pressione! Mi dicono: ‘ora tocca a te!’.”
“Questa sarebbe una bella storia. Che noi tre, dopo delle stagioni difficili, finissimo tutti bene… mi piacerebbe vederci un segno del destino.”
640 – Jordan Larmour and Alex Goode are two of just four players to play all 640 minutes of this season’s Heineken @ChampionsCup, and the only players from either finalist to do so (also CJ Stander and Sofiane Guitoune). Constant. pic.twitter.com/DVnqkCLe1C
— OptaJonny (@OptaJonny) 10 maggio 2019
2385 minuti giocati in questa stagione. 1988 minuti giocati nelle tre stagioni precedenti
Tre: Maxime
Nella prima parte della stagione, quando Tolosa è ancora un animale che deve decidere se essere predatore o preda, succede una cosa. A tre minuti dal termine della contesa europea fra Bath e i francesi, sul filo del rasoio al Recreation Ground, Freddie Burns buca la difesa rossonera e prima di depositare il pallone sotto i pali si bacia il palmo della mano, battendola poi sul simbolo della sua squadra, cucito sul petto.
E’ in quel momento che, da dietro le sue spalle, si materializza all’improvviso Maxime Medard, schiaffeggiandogli il pallone dalle grinfie e scippando 7 punti dalle tasche di Bath. Tolosa porterà a casa la vittoria in Champions Cup, e il mondo ovale improvvisamente si ricorda del grande veterano, l’uomo della mille battaglie e delle basette lunghe, delle 105 mete in maglia rouge-et-noir e dei contrattacchi imprevedibili, il JPR Williams del rugby moderno.
Maxime Medard è la memoria storica del Tolosa: è l’uomo che c’era nel 2005, per la prima Champions Cup; è l’uomo che c’era nel 2008, per vincere il Top 14; c’era anche nel 2010, la volta della seconda Champions Cup; e c’era nel 2012, l’ultima volta che lo Stade Toulousain ha vinto il campionato. C’era con Novès e c’è ora con Mola, c’è stato per i successi e per i fallimenti, per la rinascita e per la riconquista. C’era quando c’è stato bisogno di lui.
La sua carriera è più vecchia di Facebook, più vecchia di Twitter e dell’iPhone. Okay, senza farne un Matusalemme: ha 32 anni, ma ha una palla ovale tra le mani da quando ne aveva 5. Ha respirato rugby da sempre, nato a Tolosa da una famiglia di colonne del Blagnac Sporting Club, squadra della periferia della città.
Compie 18 anni il 16 novembre del 2004, un martedì. Mercoledì sera Guy Novès lo vuole ad allenarsi col reparto dei trequarti della prima squadra. Giovedì sera concede il bis, per memorizzare tutte le giocate della linea arretrata rossonera. Venerdì si gioca l’anticipo della tredicesima giornata dell’allora Top 16, a Castres. Per l’occasione Maxime Medard gioca con la maglia numero 13, secondo centro. Al primo pallone che tocca, segna. Tolosa perderà 21 a 20 in una partita pazza, durata quasi 100 minuti a causa di alcuni infortuni pesanti e al rosso comminato a Patrice Collazo. Medard uscirà per crampi, incapace alla lunga di tenere il passo degli adulti, ma il suo segno sulla partita è la sua lettera di presentazione al mondo ovale, il microcosmo della sua carriera.
In lui Tolosa ha sempre trovato il simbolo del suo motto: jeu de mains, jeu de Toulousains. Una tradizione nata con Guy Novès, decaduta e poi ripresa negli ultimi due anni. E, come sempre, Maxime Medard era lì, silenzioso, quasi pronto a farsi dimenticare fino alla prossima giocata risolutiva, fino al prossimo contrattacco immaginifico, fino al prossimo tuffo, con i suoi basettoni cespugliosi, oltre la linea di meta.
A soli 25€ lo straordinario pupazzetto di Maxime Medard, dell’azienda francese Pouplouche, uno dei principali sponsor di Ohvale, più o meno.